“Il tavolo delle trattative? Ultima gru a destra”

Non è solo colpa dei coloni

In Europa gli insediamenti israeliani sono considerati l’unico ostacolo ai negoziati di pace, che riprendono il 14 agosto. Una visione semplicistica che ignora la realtà storica e le responsabilità dei palestinesi.

Pubblicato il 13 Agosto 2013 alle 15:45
“Il tavolo delle trattative? Ultima gru a destra”

Vorrei esprimere un'opinione diversa a proposito dei coloni israeliani [oggetto di tante critiche in Europa]. Senza dubbio si tratta di persone molto religiose, che si sentono molto legate alla Terra santa di Giudea e di Samaria. Si tratta inoltre di militanti, che non sono mai delle persone piacevoli, e per ragioni ideologiche hanno delle famiglie numerose.

Ma sulla base di qualunque criterio queste persone realizzano delle vere e proprie imprese, soprattutto da un punto di vista economico. Eppure non suscitano grande simpatia neanche nel loro stesso paese. [[Per molti israeliani i coloni, a causa del loro zelo religioso e dei privilegi di cui godono, costituiscono una fonte di irritazione]]. In realtà in questi insediamenti vivono anche molti immigrati ebrei "normali", perché là le case sono meno care.

In Europa gli insediamenti israeliani sono spesso considerati come il principale ostacolo alla pace in Medio Oriente. I coloni e il loro comportamento eccentrico costituiscono dei facili capri espiatori. Tuttavia anche prima del 1967, quando non c'erano ancora coloni ebrei nei territori occupati da Israele, la pace non regnava in Terra santa.

Inoltre sul territorio arabo non c'era uno stato palestinese, e viste le conseguenze della Primavera araba e della guerra civile in Siria non si può certo affermare che la politica di insediamenti israeliani sia il problema principale in Medio Oriente. In compenso è senza dubbio vero che più l'occupazione israeliana della Cisgiordania continua, più i palestinesi avranno delle difficoltà a creare il loro stato.

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Questo crea una nuova situazione. Ma sono gli stessi palestinesi a esserne responsabili, per aver rifiutato in passato proposte di spartizione che erano loro favorevoli e per aver sempre voluto il massimo. In altre parole il diritto al ritorno di milioni di "profughi" (inizialmente non più di 600mila palestinesi erano scappati dal territorio attribuito dalle Nazioni Unite a Israele) e Gerusalemme est per farne la capitale di un futuro stato palestinese. Ma queste esigenze non riflettano né la realtà storica né i rapporti di forza politici.

Per quale motivo Israele dovrebbe accontentarsi di un ritorno alle frontiere del 1967, che già all'epoca non avevano permesso di ottenere la pace? Nel 2005 Israele, guidata da Ariel Sharon, ha deciso unilateralmente di evacuare la striscia di Gaza compresi gli insediamenti dei coloni. In cambio lo stato ebraico è stato bersagliato di missili da parte di Hamas (una forza politica che divide lo stesso campo palestinese). Nei negoziati questi fatti non possono essere ignorati, eppure l'Europa è ossessionata dall'inquietante zelo religioso dei coloni ebrei.

A quanto pare le rappresentazioni ebrea e cristiana di Israele contenute nella Bibbia creano complicazioni, soprattutto nei confronti dei musulmani. Noi laici europei vorremmo non tener conto di ciò, ma così facendo trascureremmo un'importante "realtà" della Terra santa. Per arrivare a un accordo di pace in Medio Oriente bisogna prendere in considerazione tutte le parti interessate. Curiosamente molti osservatori europei ritengono normale che la città santa della Mecca sia esclusivamente accessibile ai musulmani, mentre per quanto riguarda Gerusalemme si deve arrivare a una divisione internazionale. Tuttavia questo non potrà che generare nuovi problemi, e per la città è probabilmente meglio un'amministrazione israeliana.

Cristiani perseguitati

Come tutti sanno (senza però dirlo apertamente), gli insediamenti ebrei sono presentati come il principale ostacolo alla pace. La pace con il mondo islamico dovrebbe arrivare automaticamente non appena queste colonie saranno scomparse. Di colpo i palestinesi sarebbero improvvisamente in grado di assumere la loro autonomia, senza Hamas e gli attentatori suicidi. Gli ebrei (e i cristiani) non avrebbero più nulla da fare in Cisgiordania (per gli europei di oggi si tratta di un territorio islamico), anche se ospitano i loro luoghi santi.

Tuttavia si conta su Israele per tornare ai confini del 1967. Come se da allora non vi fossero state continuamente nuove guerre in Medio Oriente. Perché Israele non avrebbe dovuto sviluppare economicamente i territori occupati all'epoca? I palestinesi, la cui popolazione è aumentata in modo esponenziale – cosa che non si può certo definire un genocidio – avrebbero avuto una sorte migliore? [[Costruire case è peggio che lanciare missili?]]

Dal 1967 il mondo è profondamente cambiato. Nel mondo islamico gli ebrei e i cristiani sono sistematicamente perseguitati, un fenomeno che è cominciato dopo il declino dell'impero ottomano ed è continuato durante tutto il ventesimo secolo. Ma noi, i non credenti moderni, preferiamo chiudere gli occhi, in nome della pace e della nostra tranquillità, o perché non sappiamo di che cosa si tratta e perché neghiamo la complessità del Medio Oriente.

Sarebbe ora di sentire un'altra campana in Europa. E di essere più attenti ai problemi dei cristiani minacciati in Medio Oriente. Perché in passato qui non vivevano solo dei musulmani.

Da Bruxelles

Le colonie allontanano la pace

Alla vigilia della ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi il 14 agosto a Gerusalemme, l’Unione europea ha fatto appello alle due parti perché “si astengano da ogni atto che possa far deragliare le trattative”, ha affermato il portavoce di Catherine Ashton, Michael Mann. Secondo Le Figaro il riferimento è “all’annuncio del governo israeliano del lancio di una gara d’appalto per la costruzione di quasi 1.200 nuovi alloggi a Gerusalemme est e nelle colonie in Cisgiordania. Mann ha ricordato che le colonie violano il diritto internazionale e ha aggiunto che rischiano “di rendere impossibile una soluzione a due stati”.
Per l’editoriale di Le Figaro è il momento di “giocare la carta della pace”:

Israele rischia un isolamento crescente, come testimoniano le sanzioni europee contro i prodotti provenienti dalle colonie.
Lo scorso 17 luglio la Commissione ha escluso i territori occupati dagli accordi di cooperazione tra Ue e Israele. Questo significa che le colonie israeliane non potranno godere dei nuovi progetti di cooperazione economica sostenuti dall’Ue o dai paesi membri.

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