Ricchi e scontenti

I partiti di governo hanno vinto le elezioni del 29 settembre, ma nonostante i loro successi su economia e occupazione hanno perso terreno a favore del voto di protesta.

Pubblicato il 2 Ottobre 2013 alle 16:26

La ricca Austria è uno dei paesi vincenti in Europa. Può vantare la più bassa disoccupazione del continente e malgrado la crisi finanziaria mondiale e le difficoltà della zona euro riesce ancora a crescere grazie al legame con la solida economia tedesca, e sa trarre beneficio non soltanto dall’Unione europea, ma soprattutto dall’apertura dopo la caduta della Cortina di ferro nel 1989 del suo hinterland asburgico.

Eppure, nelle elezioni della scorsa settimana, i partiti che abbracciano la vena austriaca del populismo di destra hanno fatto registrare un rialzo di oltre un quarto dei voti — collocandosi poco al di sotto dei livelli del 2008, quando Jörg Haider, l’esponente di spicco della destra morto appena due settimane dopo in un incidente d’auto, raccolse ampi consensi. Indice significativo, quanto meno, di un malessere europeo.

Per il governo filoeuropeo si tratta di un lugubre messaggio: i due partiti più importanti sono partner di un’ alleanza centrista di destra e sinistra che di fatto è al governo da oltre trent’anni. Benché siano riusciti a stare a galla con abilità nella crisi economica europea, non hanno ricevuto alcun credito per questo e di fatto hanno ottenuto i peggiori risultati alle urne dal 1945.

I due partiti hanno ancora la maggioranza in parlamento con 99 seggi su 188 e probabilmente porteranno avanti la loro “grande coalizione”, anche se l’affermazione della destra, che ha poche chance effettive di governare, ha deluso nuovamente gli austriaci timorosi della gretta xenofobia e del loro passato nazista. Chi ha votato per il Partito della libertà ha dimostrato di “non essere consapevole della storia”, ha commentato Georg Hoffman-Ostenhof, un columnist di “Profil”.

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[[Se il risultato delle urne rivela molte cose dell’Austria, esso è l'ennesimo guaio per l’Unione europea]]. Nel blocco formato da 28 stati, gli elettori considerano l’organizzazione di Bruxelles per lo più come un apparato burocratico remoto e senza volto. Continuano a votare pensando “local”, anche se l’attuale successo o la crescita e la ricchezza futura dipenderanno sempre più dall’essere presenti nel mondo come una forza globale di 500 milioni di persone, tanti quanti sono gli abitanti dell’Unione. Essere relativamente ricchi in Europa – l’Austria ha un tasso di disoccupazione del 4,5 per cento – non ha contato più di tanto in cabina elettorale, dice Andreas Schieder, socialdemocratico e viceministro delle finanze dal 2008: “La gente non vive mettendosi quotidianamente a confronto con gli altri”, ma giudica soltanto la propria esperienza.

Per gli operai non specializzati, i cui posti di lavoro sono in via di sparizione, ciò si è tradotto negli ultimi 20 anni in una maggiore prontezza ad abbandonare i socialdemocratici e a votare per i populisti, come dimostrano le analisi del voto. In altri casi, sono state questioni strettamente locali, di orientamento liberale e imprenditoriale – una per tutte la riforma dell’istruzione a lungo rimandata, per esempio - a pesare così fortemente sul loro voto.

Nel gruppo di queste figurano individui come Bernhard Hoetzl, 41 anni, fiero di dare lavoro a dipendenti di otto nazionalità diverse nella sua ultima start-up
kompany.com, che raccoglie e inserisce miliardi di pagine di informazioni governative nei profili delle aziende per facilitare il commercio internazionale. Anche lui ha abbandonato i partiti tradizionali, ma lo ha fatto per votare per un nuovo partito filoimprenditoriale che si è candidato per la prima volta al parlamento.

Sotto molti punti di vista, Hoetzl, che ha lavorato a Dublino, a Londra e in Svizzera e ha visitato posti come l’Università di Stanford, incarna il successo austriaco del XXI secolo, ma anche tutti i suoi paradossi: una ricchezza abbinata allo scontento populista; una nazione soggetta a ondate di xenofobia meschina nella quale però, sempre più spesso, le persone come lui abbracciano invece la diversità e respingono la retorica anti-immigrati.

Uno dei suoi 14 dipendenti è Adrián Bolonio, 27 anni, laureato in informatica ad Alcalá de Henares, appena fuori Madrid. Tredici mesi fa Bolonio era senza lavoro come la maggior parte dei suoi coetanei spagnoli, ma ha acquistato un biglietto di sola andata dalla Spagna per Vienna ed è uscito a pranzo con Hoetzl. Quello stesso pomeriggio aveva un posto e adesso vive qui con la sua ragazza italiana. Certo, l’assenza di sole e della cultura giovanile dell’Europa del sud si fanno sentire, ma sono i primi a dire che se vuoi mangiare l’unica soluzione è “partire e lavorare”.

Problema europeo

Questa lungimiranza aiuta a spiegare l’apparente insoddisfazione di un popolo che, da ogni punto di vista, vive decisamente meglio della maggioranza degli europei. Come i tedeschi, che hanno votato poco prima di loro, gli austriaci non hanno seguito gli altri dieci paesi europei che hanno mandato a casa i loro governi, ma si preoccupano ancora di quello che potrebbe andare storto domani.

Johannes Kopf dirige il servizio governativo Arbeitsmarkt, o Servizio del mercato del lavoro, noto qui a tutti con l’acronimo Ams, e dice che spesso i colleghi europei e americani gli chiedono come l’Austria sia riuscita a mantenere così bassa la disoccupazione giovanile.

Se qualcuno perde il lavoro, lo stato interviene in modo sostanziale, ha spiegato. Se al lavoratore che resta disoccupato serve, per esempio, un corso di informatica o di lingua tedesca, lo stato lo aiuta così che possa frequentarlo. Quando manda i candidati a sostenere un colloquio di lavoro, il servizio elargisce un contributo al datore di lavoro che assume chi è disoccupato da maggior tempo. Contrastare la mancanza di competenze e la disoccupazione a lungo termine, dice Kopf, è indispensabile per cercare di mantenere la coesione sociale sulla quale è rinata l’Austria del dopoguerra, come per altro l’Europa.

Secondo le l’Austria si colloca al quarto posto – dopo Danimarca, Paesi Bassi e Belgio – nella spesa pro-capite per la lotta alla disoccupazione giovanile. Nonostante ciò, le sue statistiche mostrano che la disoccupazione a lungo termine è un problema che affligge un quarto di tutti i disoccupati in Austria – rispetto alla sconvolgente percentuale del 44,4 per cento della media europea. “Questo è un problema europeo”, dice. “E il progetto europeo è a rischio”.

Dalla Germania

Il populismo non ha vinto

Nonostante il buon risultato ottenuto dai partiti di destra alle legislative del 19 settembre “l’Austria non è caduta nelle fauci del populismo”, sottolinea Die Welt. Secondo il quotidiano tedesco, contrariamente alla percezione diffusa, il leader del partito Team Stronach non è uno xenofobo assimilabile all’Fpö, il partito di estrema destra arrivato terzo alle elezioni. Die Welt accoglie con favore il successo del nuovo partito liberale, Die Neos:

non sappiamo ancora in che direzione andrà questo partito che ha ottenuto il 4,8 per cento all’esordio […] ma sembra che siamo davanti a liberali diversi da quelli che hanno fallito in Germania]: sono giovani, dinamici ed entusiasti e sventolano il vessillo della libertà. Grazie a loro un partito liberale filoeuropeo entra per la prima volta in parlamento dal 2002.

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