Attualità Cittadinanza europea (1/2)

“Uno scontro fondamentale”

L’Ue deve risolvere il contrasto tra la dimensione dello spazio transnazionale e quella del luogo in cui vivono i suoi cittadini. Solo così potrà superare le contraddizioni che minano la sua stabilità, sostiene lo scrittore olandese Geert Mak nella prima parte del suo intervento a un convegno organizzato da Trouw.

Pubblicato il 3 Ottobre 2013 alle 11:15

Chiunque capisce benissimo la sensazione che provo per Jorwerd, la piccola città nella quale vivo, anche se la parola che esprime tale sentimento varia da lingua a lingua, passando dal confortevole “Home” al nobile “Lieu” a “Heimat”, parola carica di sfumature storiche per l’associazione con Hitler e il Terzo Reich. Eppure, con queste parole ci riferiamo tutti alla medesima cosa: il “luogo” nel quale ci sentiamo a casa… La parola “spazio”, invece, evoca il dinamismo, ma anche le possibilità, i rischi e il caos che vanno di pari passo con chi si avventura per strade nuove e non battute.

Luogo e spazio, “place et espace”, è uno dei temi più importanti affrontati dallo studioso francese Michel de Certeau, in seguito elaborato da Herman Van Rompuy, intellettuale e presidente del Consiglio europeo. Per definizione l’Europa è stata ed è l’incarnazione del concetto di spazio, con le sue aspirazioni a perseguire la libera circolazione di prodotti, persone, servizi e capitali, l’eliminazione delle frontiere, la creazione di nuove opportunità, ma anche la confusione e i rischi che queste ambizioni rischiano di ingenerare.

La contrapposizione tra luogo e spazio è da secoli una caratteristica dell’Europa, dove in una sola giornata in macchina si possono attraversare almeno quattro regioni completamente diverse in termini di lingua e cultura. Se questa enorme diversità è stata a lungo un nostro punto di forza, l’ostilità che essa ha creato ha dimostrato però al contempo di essere anche la nostra eterna, diabolica, e sanguinaria debolezza.

Tutti conosciamo la storia: per sottrarci a quel destino, nel 1951 fu fondata la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, un esperimento storico di governo sovranazionale. In effetti, per almeno cinquant’anni quel progetto europeo si è dimostrato un grande successo, e sotto molti punti di vista continua a esserlo. Non dovremmo mai dimenticarcene. Nel caso, è sufficiente chiedere l’opinione di polacchi, estoni o altri europei dell’est. Ma altrove bufere e incendi infuriano dal 2010, senza che se ne intraveda la fine. Se l’Unione sopravvivrà a questo spargimento di sangue si ritroverà stremata.

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L’Europa di oggi è così unita e profondamente interconnessa che gli stati membri sono obbligati in vario modo a preoccuparsi e intromettersi gli uni nelle politiche e nei comportamenti degli altri. Non possiamo ignorare infatti che [[la debolezza interna di alcuni stati membri ha portato l’Unione intera sull’orlo dell’abisso]]. Ma come può questo concetto di “spazio” influenzare l’interpretazione del “luogo”?

Per esempio, è possibile far sparire dalla sera alla mattina, come per magia, il rapporto completamente distorto tra pubblico e privato nei paesi che facevano parte dell’Europa dell’est? E questo stesso principio non vale ancor più per le tradizioni profondamente radicate di clientelismo e favoritismi presenti nella maggior parte dei paesi dell’Europa meridionale? In altre parole: quel mix europeo di moniti, sussidi e sanzioni raramente applicato può esercitare sul serio una sorta di controllo sul fenomeno di “luogo”? Specialmente se, come in Grecia, si pensa di poter modernizzare un’economia imponendo austerità e tagli, col risultato che le vittime, ancora una volta, diventano del tutto dipendenti dai favoritismi di amici e famigliari.

E come dovremmo considerare la nostra etica dell’indebitamento, quella morale fatta di punizioni e tagli che negli ultimi anni ha influenzato l’umore dell’opinione pubblica in Germania e nei Paesi Bassi, quella morale che i nostri partiti di governo abbracciano tuttora con arrogante ignoranza e compiacenza, ma che è guardata con incredulità e sconcerto dal resto del mondo, compreso l’Fmi, dato che ritarda – e forse ferma del tutto – la ripresa della zona euro?

Il prezzo che dovremo pagare è salato, soprattutto al sud. Noi lo sappiamo, anche qui al nord, ma difficilmente lo sentirete ammettere da un politico olandese. Per non parlare dell’enorme prezzo morale pagato da una generazione intera di giovani che ormai hanno perduto ogni speranza. Che influenza ha tutto ciò sul nostro “spazio” europeo? E che influenza avrà sul rapporto tra la mia città, Jorwerd, e Bruxelles, sul rapporto tra “spazio” e “luogo” in un’Europa così duramente colpita?

Negli ultimi cinque anni abbiamo vissuto due enormi crisi di fiducia: una crisi bancaria nel 2008 e nel 2009, seguita all’inizio del 2010 da una crisi monetaria che si è leggermente calmata ma non può dirsi conclusa. Guardando alle conseguenze dall’ottica di Bruxelles, ci si accorge che le istituzioni dell’Unione sono sopravvissute, in modo quasi sorprendente, reagendo con provvedimenti e con la creazione di strutture che fino a poco prima erano ritenute irrealizzabili. È pur vero che l’unione bancaria europea, la chiave di volta, il pezzo conclusivo di questa unione, non è ancora realizzata, ma tutto sommato la crisi ha portato a una maggiore integrazione. Quanto meno a Bruxelles.

Disarmonia e squilibrio

Le cose sono molto diverse fuori dalla capitale d’Europa: altrove è in corso un processo opposto, un processo di disintegrazione. Per esempio, nell’economia della zona euro, dove in media i tassi di interesse per un imprenditore italiano sono il doppio di quelli di un collega tedesco. Assistiamo con i nostri occhi all’affermarsi di un’Europa a due o tre velocità, forse più.

Questa disintegrazione è evidente anche nel dibattito politico europeo: le divergenze di opinione su come risolvere la crisi colpiscono la sostanza stessa delle diverse culture politiche ed economiche. [[I francesi e gli italiani, che hanno sempre fatto affidamento sulla svalutazione per alleggerire i loro debiti, non comprendono la paura ancestrale dei tedeschi per l’inflazione]]. Questa disarmonia sta alterando l’equilibrio europeo dei poteri. Il motore dell’unificazione europea, l’asse Parigi-Berlino, sta venendo meno. La Francia rischia di diventare il prossimo problema, dopo Spagna e Italia. La Germania deve guidare, compito che non può e non osa assumere. Il fardello del passato pesa ancora troppo.

Nel frattempo i cittadini stanno perdendo sempre più fiducia nell’esperimento europeo. Il risultato delle imminenti elezioni europee non potrà che riflettere questa sfiducia: dai sondaggi risulta che il già ingestibile Parlamento europeo continuerà a essere popolato da rappresentati di partiti dell’estrema destra antieuropea.

In sintesi, stiamo assistendo oggi a uno scontro fondamentale, non soltanto tra forze politiche, ma anche tra tradizioni europee profondamente radicate. Raramente l’Europa – nelle sue molteplici configurazioni – ha assistito a un’instabilità di questo tipo nell’equilibrio di “spazio” e “luogo”. Un ritorno al sistema degli stati nazione del XIX secolo ripristinerebbe quell’equilibrio?

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