Christine Lagarde e Angela Merkel a Berlino, ottobre 2011

Merkel-Lagarde, il ticket dei sogni

La cancelliera tedesca e la direttrice dell'Fmi sarebbero le candidate ideali per guidare la Commissione e il Consiglio europeo. Purtroppo nell'Ue le nomine seguono altri criteri, e nel 2014 avremo un'altra delusione.

Pubblicato il 31 Ottobre 2013 alle 16:41
Christine Lagarde e Angela Merkel a Berlino, ottobre 2011

Provate a immaginare da qui a un anno un’Unione europea guidata da loro: Angela Merkel e Christine Lagarde. Questo sì che richiamerebbe l’attenzione di tutto il mondo. In America e in Asia tutti si chiederebbero: l’Europa si sta finalmente unificando?

Purtroppo non andrà così. In virtù delle eccentriche modalità di assegnazione delle sue cariche più importanti, è impossibile che accada. E con i loro contradditori e torbidi principi sul ruolo internazionale dell’Europa, c’è da scommetterci che i leader nazionali dei ventotto paesi Ue non vorranno nemmeno che accada una cosa del genere.

Che occasione sprecata! Angela Merkel, fresca vincitrice delle elezioni parlamentari tedesche, che ha in grande considerazione la sua responsabilità di indispensabile decision maker nella crisi della zona euro, sarebbe una candidata enormemente qualificata per sostituire Herman Van Rompuy alla presidenza del Consiglio europeo, che raggruppa i capi di governo dell’Ue. Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale ed ex ministra francese delle Finanze, sarebbe una scelta eccellente per []() alla presidenza della Commissione europea, il braccio esecutivo dell’Ue.

Consegnare le redini dell’Ue nelle mani di questa coppia sarebbe un colpo da maestro. Darebbe il potere a due dei policymaker europei più stimati a livello internazionale. Costituirebbe una sorta di coraggiosa dichiarazione su come devono essere tenute in considerazione nella vita pubblica le donne. E infine diventerebbe un simbolo di quella partnership franco-tedesca senza la quale l’Ue è come un cavallo senza cavaliere.

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Per comprendere perché questa sia solo una fantasia, si prendano in considerazione le parole di Van Rompuy quando, in un momento di somma imprudenza, ha detto che il suo carisma “è spesso sottovalutato”. Ritornato con i piedi per terra, ha fatto chiaramente capire il concetto di fondo: il presidente del consiglio dell’Ue non ha mai dovuto essere uno che aspiri a mettere in secondo piano i leader nazionali dell’Unione. Questi ultimi se lo papperebbero prima della terza portata di una delle cene dei tanti summit dell’Ue. Il presidente dell’Ue, al contrario, deve essere uno che “cerca soluzioni e compromessi, facilita e media”.

Da questo punto di vista Van Rompuy, un filosofico democristiano belga, sa di che cosa sta parlando. È l’unico ad aver ricoperto a tempo pieno l’incarico di presidente dell’Ue, posizione creata nel 2009. I leader d’Europa nominarono lui perché volevano un presidente, non un direttore esecutivo. Oltretutto [[lo preferirono perché proveniva da un paese troppo piccolo per intralciarli]]. Una personalità riconosciuta a livello globale come l’ex primo ministro britannico Tony Blair era proprio quello che non hanno mai avuto in mente di nominare. Per la stessa ragione anche Merkel è esclusa - non che lei abbia mai lasciato intendere di volersi candidare.

Quando più o meno ogni cinque anni arriva per l’Ue il momento di assegnare i suoi posti di maggiore responsabilità, entrano in gioco gli equilibri geografici, nazionali, politici e di genere. Per esempio, dato che l’italiano Mario Draghi occupa la presidenza della Banca centrale europea, è inverosimile supporre che Mario Monti, ex primo ministro italiano ed ex membro della Commissione Ue, possa sostituire Van Rompuy, o che Franco Frattini, ex ministro italiano degli esteri e anch’egli ex membro della Commissione, possa rimpiazzare il danese Anders Fogh Rasmussen come segretario generale della Nato, altra posizione di alto livello che si renderà vacante l’anno prossimo e che va sempre a un europeo. Per l’Ue sarebbe saggio nominare Monti, brillante burocrate la cui breve carriera politica si è conclusa con una cocente delusione, oppure spingere Frattini, ex alleato del pregiudicato Silvio Berlusconi?

No grazie

I leader nazionali controlleranno il processo di selezione necessario a sostituire Van Rompuy, ma potrebbero trovare difficile imporre le loro scelte per le posizioni di presidente della Commissione e di responsabile della politica estera dell’Ue, carica assegnata nel 2009 alla britannica Catherine Ashton. In base al trattato di governo dell’Ue le nomine dei leader richiedono l’approvazione del parlamento. Pertanto i leader dovranno ascoltare i partiti ivi rappresentati dopo le elezioni del prossimo maggio.

Tutto ciò potrà sembrare un segno di responsabilità democratica, ma in pratica ne deriveranno un serio rischio di confusione e nomine deludenti. Ciascuna delle quattro formazioni partitiche transnazionali più importanti – centrodestra, centrosinistra, liberali e verdi – nelle settimane e nei mesi a venire dovrebbe schierare un proprio candidato alla presidenza della Commissione. Dopo le elezioni il partito vincente solleciterà i leader nazionali ad accettare il proprio candidato. E così, nel collaudato spoil system dell’Ue, [[l’incarico della politica estera andrà a un personaggio di spicco del partito arrivato secondo alle elezioni, o forse anche terzo]]. La presidenza del parlamento europeo (l’Ue ha un numero esagerato di presidenti) sarà anch’essa assegnata nello stesso modo.

Naturalmente è possibile che i leader nazionali non vogliano come presidente della Commissione il candidato del partito vincente. Ne nascerebbe un poco edificante scontro tra capi di governo e parlamento europeo, prospettiva che sicuramente allontanerebbe ancora di più gli europei da istituzioni Ue considerate narcisiste e irraggiungibili. È altrettanto possibile che il candidato proposto per la posizione di ministro degli esteri alla fine respinga la nomina, perché ha già messo gli occhi su un posto più vantaggioso in politica nazionale. Nel 2009 il gruppo socialista appoggiò la nomina di David Miliband, l’allora segretario degli esteri del Regno Unito. Sarebbe stata una scelta ammirevole, ma lui disse: “no grazie”. Parodiando un processo decisionale serio, i leader dell’Ue finirono per scegliere Ashton, che non aveva alcuna esperienza di politica estera e non si era neppure lontanamente sognata di candidarsi.

Finché i leader nazionali avranno smania di ribalta, e fino a quando il processo di assegnazione delle nomine assomiglierà a una contrattazione, l’Ue continuerà a fare scelte bizzarre per le sue cariche più importanti. Forse ai leader le cose vanno bene così. Come diceva anni or sono un personaggio dei fumetti americani, “strano modo davvero di guidare un treno!”.

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