Il premier ungherese Viktor Orbán durante le elezioni legislative, aprile 2010.

L’Ungheria non è sola

Dopo la recente adozione della "legge bavaglio" sui mezzi di comunicazione, Budapest è additata come la pecora nera dell'Europa liberale. In realtà la svolta autoritaria del governo Orbán ha avuto predecessori eccellenti, anche tra chi ora lo critica.

Pubblicato il 4 Gennaio 2011 alle 14:00
Il premier ungherese Viktor Orbán durante le elezioni legislative, aprile 2010.

Dal primo gennaio la presidenza Ue è passata all'Ungheria, un paese che ha appena messo fuori gioco la libertà di stampa, uno dei beni essenziali della democrazia. Alle critiche da parte degli altri governi europei, persino da quello austriaco, Budapest ha risposto col silenzio. Dopotutto, il primo ministro Victor Orbàn se lo può permettere, perché in generale sulla questione dei media Bruxelles non dice né fa nulla. L'Ue interviene se la libera concorrenza di mercato è minacciata, ma non per garantire il pluralismo mediatico. Sembra che a nessuno interessi se la libertà di stampa è in pericolo.

Eppure le occasioni per avviare una procedura non sono mancate: sarebbe bastato guardare all'Italia, dove il rapporto di Berlusconi con la Rai è simile a quello di Putin con i media russi. Ma Bruxelles ha lasciato correre, e ora lo stile russo si espande anche in Europa occidentale: ai media si mettono le briglie. In Austria non mancano i tentativi di controllare, oltre alla tv pubblica Orf, anche la carta stampata. Erano in programma misure simili a quelle adottate in Ungheria – come la persecuzione dei giornalisti – ma alla fine il ministro della giustizia Claudia Bandion-Ortner ha deciso di lasciar perdere. Per fortuna c'è la Corte europea dei diritti umani che, quando interpellata, solitamente prende decisioni che correggono l'ostilità della giustizia austriaca nei confronti dei media.

Un'osservazione: quello che un tempo era comune nelle repubbliche sovietiche, ovvero la giustizia politica, sembra prendere il sopravvento anche in Ue. Berlusconi continua a far approvare leggi che impediscono ai magistrati di combattere la corruzione e per questo trovano poco spazio anche nei giornali. In Francia Nicolas Sarkozy ha fatto comprare una serie di importanti quotidiani ai suoi amici imprenditori, e in ogni caso l'opinione pubblica è più interessata alle storie di Carla Bruni che a scandali (come quello della Banca Hypo Alpe Adria in Carinzia) che vanno al di là della comprensione dei semplici cittadini.

La repubblica dei vassalli è un vecchio fenomeno francese, a cui corrisponde l'uso privato del proporzionale in Austria, con risultati come lo Skylink – il nuovo e incredibilmente costoso terminal dell'aeroporto di Vienna il cui appalto sembrerebbe un favore politico. Ma la situazione si fa estremamente pericolosa quando, come in Ungheria, una casta politica dotata di una maggioranza parlamentare assoluta inizia a scardinare con strumenti formalmente inattaccabili la separazione dei poteri – ed è così vicina alle corti supreme che i loro giudizi non la contraddiranno mai.

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I manager austriaci si esaltano per la forza del governo (eletto) di Singapore. Sono impressionati dalla sua risolutezza ed efficienza, non dicono però che lì parlamento e giustizia sono indipendenti solo formalmente, e che la vita è regolamentata in ogni aspetto. Jorg Haider ci aveva già provato anni fa. Anche lui voleva una magistratura consenziente. Se alle prossime elezioni l'Fpö ottenesse la maggioranza, potremmo assistere a un revival di quei giorni. (traduzione di Nicola Vincenzoni)

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