Idee Dopo le elezioni europee

La responsabilità dei filoeuropei

Scordate gli estremisti e gli euroscettici. Per Ovidiu Nahoi, se l’Unione dovesse fallire, sarà per colpa dei partiti filoeuropei, non degli “anti”.

Pubblicato il 4 Giugno 2014 alle 16:08

In questi ultimi giorni tutti parlano dell'affermazione dei partiti antieuropei. È normale, visto i risultati delle elezioni per il Parlamento europeo. Ma i segnali inviati dall'Europa sono piuttosto controversi, e non si tratta solo degli estremisti.

L'Europa orientale manda un messaggio molto diverso. L'Ucraina si è espressa in modo chiaro e la sua scelta europeista è ormai evidente. La Repubblica moldava ha votato in modo simile e i titolari della cittadinanza rumena hanno partecipato in massa alle votazioni – anche questo è senza dubbio un messaggio in favore dell'Europa.

Anche in Romania, nonostante le discussioni contraddittorie che hanno fatto seguito alle elezioni europee, tutti sono concordi nel riconoscere che i partiti anti-sistema, România Mare (di Corneliu Vadim Tudori) e il Ppdd (di Dan Diaconescu) non sono riusciti a entrare al Parlamento europeo.

Andiamo a vedere la situazione in Polonia. Il vero trauma delle elezioni del 25 maggio è stato il risultato superiore al sette per cento ottenuto dalla formazione anti-europea "Nuova destra". Tuttavia la Piattaforma civica, il partito del primo ministro Donald Tusk con il quale la Polonia è riuscita ad avere un posto importante nell'Unione europea, ha ottenuto quasi il 33 per cento dei voti e ha conservato un piccolo margine di vantaggio sull'opposizione, il Partito Giustizia e sviluppo (conservatore).

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Vediamo poi cosa è successo in Italia – il partito di Beppe Grillo, il MoVimento 5 Stelle ha superato la soglia del 20 per cento. Ma nel frattempo il Partito democratico (centrosinistra) del Presidente del consiglio Matteo Renzi, ha vinto ampiamente le elezioni con il 41 per cento dei voti.

L'affermazione dei partiti anti-europei è senza dubbio una realtà. Ma è anche vero che questo gruppo parlamentare (se dovesse realmente concretizzarsi) conterebbe al massimo su circa il 20 per cento dei seggi del Parlamento europeo. Che cosa potrebbero fare questi partiti a Bruxelles o a Strasburgo? Nulla – affermano con sicurezza gli esperti di Berlino ai quali abbiamo posto la domanda. Non potrebbero bloccare il processo decisionale, al massimo potrebbero ritardarlo, sempre che dispongano di relatori per tutte le diverse questioni.

Ma la maggioranza farà attenzione a non affidare loro gli argomenti più importanti. Inoltre, sempre secondo le stesse fonti, questi euroscettici sono pigri: non partecipano attivamente ai lavori dei comitati, parlano molto alla stampa ma poco nel Parlamento europeo.

Gli anti-europei hanno il 20 per cento del parlamento, ma sono inesistenti nella Commissione o nel Consiglio europeo, dove solo il primo ministro inglese David Cameron e il suo collega ungherese Viktor Orbán potrebbero rappresentare un problema. Si pensi però a un incontro a Bruxelles, in un momento di grave crisi in Europa, dove fossero riuniti Marine Le Pen, Beppe Grillo, Geert Wilders (che peraltro ha ottenuto dei risultati al di sotto delle aspettative in Olanda) insieme al presidente dello Jobbik [estrema destra ungherese] Vona Gabor. Un'ipotesi remota ma che fa pur sempre paura.

In realtà le redini rimangono nelle mani dei dirigenti e delle formazioni centriste. Ma a una condizione: essere in grado di dare un progetto all'Europa. Il fallimento dell'Unione europea, se dovesse verificarsi, avverrà per colpa dei partiti filoeuropei e non degli "anti".

In un certo modo la situazione attuale assomiglia, fatte le debite proporzioni, a quella della Germania durante il periodo precedente la presa del potere da parte di Adolf Hitler: un'assemblea legislativa divisa e un gruppo antisistema ancora minoritario ma molto motivato. È questa assenza di progetto e i compromessi della maggioranza avevano portato al tragico epilogo che tutti conosciamo.

Gli attuali dirigenti europei continueranno a fare leva sul consenso? O cambieranno le regole del gioco per dare soddisfazione agli anti-europei, nella speranza di calmarli e renderli più disponibili? Questo cambiamento delle regole del gioco nell'Unione europea non finirà per trasformare i cittadini dell'Europa orientale in persone di serie B, come sono già considerati dagli anti-europei occidentali?

Un messaggio chiaro e nella buona direzione proviene da Gunther Krichbaum (Cdu), presidente della commissione del parlamento per gli Affari europei al Bundestag: "È impossibile che le regole vengano modificate. Abbiamo dei trattati e dovrebbero essere rinegoziati. Ogni trattato è il risultato di compromessi raggiunto dopo anni di negoziati. Il Trattato di Lisbona per esempio ha visto la luce dopo dieci anni di discussioni. E ci vorranno ancora dieci anni per altri eventuali negoziati. Nel frattempo però l'Unione europea deve essere governata e tutti noi conosciamo le sfide che ci aspettano".
Nei prossimi anni l'Unione europea dovrà fornire dei posti di lavoro, delle politiche energetiche e industriali, un futuro per i paesi ai suoi confini orientali. Questo significa aprire la strada verso la divisione dell'Europa e verso i conflitti.

Due giorni prima delle elezioni ho assistito a Berlino a una manifestazione elettorale della formazione conservatrice ed euroscettica Alternative für Deutschland (AfD) (che ha ottenuto il sette per cento dei voti). I dirigenti del partito, guidati dal suo presidente Bernd Lucke, professore di economia all'università di Amburgo, hanno percorso le strade della capitale tedesca con un corteo di automobili. Almeno tre di queste macchine erano delle Dacia Logan [prodotte in Romania]. Ma se l'AfD, che vuole il ritorno al Deutsche Mark e il rafforzamento del protezionismo nazionale, guida delle macchine "made in Romania", allora significa che l'Europa ha ancora una possibilità di farcela.

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