Report Referendum sul “Brexit”

David Cameron messo nell’angolo

Se l’Unione vuole che i britannici votino “sì” nel referendum voluto dal premier, dovrà fare delle concessioni. Ma l’élite conservatrice ed euroscettica non sembra disposta a cedere.

Published on 28 May 2015 at 13:34

Il primo ministro è alle strette. Si è lasciato mettere nell’angolo quando, sotto pressione, nel 2013 ha promesso ai un referendum sull’Ue. Da un lato era incalzato dagli euroscettici all’interno del suo partito, dall’altro stava perdendo elettori a favore del partito anti-Ue Ukip (Partito per l’indipendenza del Regno Unito): la rielezione dei Conservatori sembrava incerta.

Passate le elezioni, Cameron si trova ora in una posizione più forte. I Tory devono a lui il fatto di essere al potere senza dover formare una coalizione per la prima volta dopo 23 anni. Il lunedì dopo le elezioni, nell’affollata sala delle commissioni numero 14 del Parlamento di Westminster, quando Cameron ha salutato i suoi 300 deputati fra nuovi e rieletti, le grida di giubilo e il rumore delle nocche sui tavoli in segno di approvazione risuonavano lungo i corridoi del palazzo. Nella frizzante euforia, anche gli oppositori dichiarati dell’Ue si sono schierati a favore del premier. Fra loro Bill Cash, incarnazione del parlamentare ribelle e del critico severo di ogni pecca dell’Ue, ha promesso a Cameron di non mettergli più i bastoni tra le ruote: “Chi se l’aspetta, sarà deluso”.

La maggioranza è nel mezzo

L’appoggio degli euroscettici potrebbe essere decisivo. Peter Wilding, direttore del Think Tank eurofilo British Influence e profondo conoscitore del partito conservatore, stima che siano tra i 20 e i 30 i parlamentari Tory da annoverare fra quelli che Kenneth Clarke, gentleman Tory per antonomasia e noto eurofilo, ha definito “imbecilli”: decisi, costi quel che costi, a far uscire il Regno Unito dall’Unione europea. I parlamentari conservatori che vogliono assolutamente che il Paese rimanga nell’Ue sarebbero circa il quadruplo rispetto agli euroscettici.

I quasi 150 deputati restanti, molti dei quali aderiscono al gruppo Fresh Start (che ha elaborato proposte dettagliate per una riforma dell’Ue), potrebbero essere determinanti. Se Cameron riuscirà a persuadere questa maggioranza che si trova nel mezzo di essere riuscito ad ottenere dai partner europei importanti concessioni nell’interesse del paese, ci sono buone probabilità che possa riuscire a convincere i suoi che il Regno Unito debba rimanere nell’Unione e quindi superi il referendum senza creare una spaccatura all’interno del suo partito.

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Bruxelles non è poi così male

Ma quali potrebbero essere queste importanti concessioni? Nel 2013 Cameron aveva promesso che avrebbe posto fine all’eccessiva ingerenza di Bruxelles e che avrebbe riportato a Londra il potere decisionale. Aveva fatto riferimento a un approfondito studio condotto dai funzionari del suo governo con il quale si intendeva fare luce sugli ambiti nei quali l’ingerenza dell’Ue nelle società britannniche o nell’amministrazione dello stato era sproporzionata. Nel frattempo il rapporto è stato portato a termine. Nelle sue tremila pagine non si trova un singolo esempio dell’eccessivo potere di Bruxelles che dovrebbe essere limitato nell’interesse del Regno Unito. Lo studio è quindi stato archiviato.

Nel promettere il referendum, Cameron denunciava anche l’eccessiva burocrazia. Almeno questo sembra essere un obiettivo europeo comune: Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione europea, si adopera da tempo per snellire la burocrazia europea, e senza il minimo contributo da parte di Cameron.

Il mercato interno andrebbe rafforzato con maggiore risolutezza, la conclusione degli accordi commerciali andrebbe velocizzata e la competitività dell’Europa promossa: questi i moniti che il premier britannico aveva lanciato nel suo discorso del 2013. Ha così conquistato le simpatie di molti stati, soprattutto nel nord Europa, e in particolare di Berlino. Tutti stavano però ancora aspettando che alle dichiarazioni facessero seguito proposte concrete, deplorava Lord John Kerr, ex ambasciatore britannico a Washington e uno dei 90 rappresentanti permanenti del Regno Unito presso l’Ue.

Ma i termini della discussione si stanno appianando. Per far saltare i piani dei populisti, che alimentano l’eurofobia criticando i migranti provenienti dagli altri paesi dell’Ue, Cameron chiede che il Regno Unito paghi le prestazioni sociali agli immigrati provenienti da altri paesi dell’Unione solo se risiedono da almeno quattro anni nel paese. Con una richiesta di questo genere Cameron potrebbe davvero trovare qualcuno pronto ad ascoltarlo. Il fatto tuttavia che il premier voglia concedere prestazioni sociali a chi ha un impiego (sotto forma di agevolazioni fiscali ai bassi redditi) solo dopo quattro anni potrebbe rappresentare un problema, poiché appare come un attacco alla libera circolazione delle persone, un elemento irrinunciabile per la maggior parte degli stati europei.

Grazie al sostegno di qualche altro stato membro, le richieste di Cameron permetterebbero ai parlamenti nazionali di avere competenze allargate nelle decisioni prese a livello europeo. Però, alcuni colleghi di partito di Cameron, e in particolare il sindaco di Londra Boris Johnson, vogliono il diritto di veto per tutte le leggi indesiderate provenienti da Bruxelles. Di fatto, questo snaturerebbe l’Unione.

Per di più, Cameron vuole delle garanzie sul fatto che una zona euro caratterizzata da una sempre maggiore integrazione non possa emanare disposizioni che abbiano conseguenze anche per i paesi dell’Unione che non ne fanno parte, senza che quest’ultimi abbiano potuto partecipare alle decisioni. Una simile richiesta è comprensibile e ragionevole, perciò sarà oggetto di dibattito.

In fin dei conti, la richiesta di Londra di impegnarsi a porre fine alla “crescente integrazione dei popoli all’interno dell’Unione”, come scritto nel Trattato di Roma, ha più che altro un valore simbolico. Una più ampia integrazione è vista con occhio critico anche in molti altri stati membri. Questa richiesta sarà soddisfatta solo se non implicherà passi indietro nell’integrazione. Tra l’altro, il governo tedesco non acconsentirà mai a un tale cambiamento.

Più che eurofobi, i britannici sono soprattutto indifferenti. Le pesanti critiche all’Ue sposano la causa di un’esigua élite presente nei mezzi d’informazione, nell’economia e nella politica del paese, commenta brevemente Mark Leonard, direttore dell’European Council on Foreign Relations. E i sondaggi delle scorse settimane gli danno ragione: ancora una volta mostrano che la maggioranza dei britannici voterebbe contro l’uscita dall’Unione europea. Il Regno Unito si distingue quindi dagli altri stati membri proprio per il fatto che l’influente élite dei Conservatori del paese non approva il progetto europeo.

Traduzione realizzata da Maura Milani, Elisa Pestoni e Marta Venturi, dell’Università di Ginevra, Facoltà di traduzione e interpretariato, nell’ambito dei loro studi.

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