Quando le svedesi dicono no

In Svezia le accuse di stupro rivolte al fondatore di WikiLeaks Julian Assange hanno innescato un acceso dibattito sulla consensualità dei rapporti sessuali. C'è anche chi propone una legge per tutelare il diritto delle donne a porre dei limiti.

Pubblicato il 8 Febbraio 2011 alle 15:50

In svedese "parlarne" si dice "prataomdet" ed è questa la parola del momento: è ovunque e ha invaso Twitter, i blog, i giornali, le trasmissioni radio e televisive. Questa parola riassume il dibattito che anima la società svedese in queste ultime settimane sui limiti di quella "zona grigia" sessuale tra due persone i cui contorni sfumano nel mistero della camera da letto.

Johanna Koljonen è la donna da cui tutto è cominciato. Il 14 dicembre 2010 questa giornalista freelance, assidua frequentatrice delle pagine e dei programmi culturali svedesi, discute su Twitter del caso Julian Assange. In quel periodo il fondatore di WikiLeaks è sulle pagine dei giornali di tutto il mondo in seguito alla denuncia di due svedesi per stupro e violenze sessuali.

Un corrispondente risponde a Koljonen che il caso Assange, visto dalla Gran Bretagna, è un errore giudiziario ai danni dell'australiano. Alle 18.07 Johanna Koljonen gli rimanda un messaggio un po' più personale: "Il fatto è che mi sono ritrovata in una situazione simile, ma ero troppo ingenua per capire che avrei potuto imporre un limite". La discussione continua e mezz'ora dopo Johanna torna sull'argomento, questa volta in maniera molto più esplicita: "Sono un po' traumatizzata di scoprire solo oggi che anche io ho vissuto un'esperienza di 'sesso a sorpresa'".

E a partire da questo momento la donna racconta, per messaggi di 140 caratteri alla volta, la sua esperienza: una sera va a letto con un uomo, volontariamente, ma il giorno dopo questa persona approfitta del suo sonno per penetrarla "cambiando le regole del gioco", cioè senza mettere il preservativo. Quando se ne rende conto, la donna non osa fermarlo. Esattamente la stessa situazione nella quale si è ritrovata una delle due svedesi che hanno denunciato Assange. Ma Johanna spiega di non aver sporto denuncia. "Perché non avevo capito di avere diritto a porre dei limiti [...] a un uomo con cui ero già andata a letto".

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A partire da quel momento il dibattito si accende. Johanna riceve dei messaggi che la ringraziano per il suo coraggio, per quello che ha osato raccontare. E così molte altre testimonianze arrivano su Twitter. Nell'ora successiva una strategia comincia a delinearsi nel gruppo, dove si contano molti giornalisti. I primi dodici volontari andranno al giornale per convincere la redazione a pubblicare una testimonianza personale su questa zona grigia. L'effetto a valanga è garantito.

La legge del consenso

Da allora il fenomeno non si è più fermato. La discussione si è animata ancora più dopo un fatto di cronaca che ha sconvolto il paese nel 2009 [un liceale è stato condannato per aver violentato una compagna di classe in seguito alla testimonianza di quest'ultima, ma gli abitanti del suo villaggio si sono mobilitati in suo favore fino a spingerlo a violentare un'altra ragazza]. Come nel caso Assange, il sospetto spesso cade sulla vittima, mentre l'autore presunto del reato – in entrambi i casi una persona popolare – beneficia di un sostegno assoluto.

Il dibattito, che non ha nulla di giuridico, va inserito in questo contesto. "Un no è un no ovunque, ma quello che è interessante sono le situazioni in cui avremmo voluto dire no, e nelle quali invece abbiamo lasciato fare perché siamo innamorati, timidi, riconoscenti, impressionabili, ubriachi o troppo stanchi per discutere", spiega Johanna Koljonen a Le Monde.

Il blogger Göran Rudling si batte per l'introduzione di una legge sul consenso, secondo cui i partner devono esprimere chiaramente le loro intenzioni. "Un uomo non può capire un no che non è mai stato detto. Per me non ci sono zone grigie, un no deve essere espresso chiaramente a parole o a gesti. Oggi la legge svedese si applica se vi è stupro, violenza o minaccia. In altre parole, per la legge le donne vogliono fare l'amore sempre, fino a quando dicono no, ma questa è un'assurdità perché poi sono loro a dover dimostrare di aver detto di no".

Questo spiegherebbe perché i tribunali svedesi fanno spesso fatica a giudicare casi di violenza sessuale. Per Rudling il problema è che la gente non conosce la differenza tra volere e acconsentire. "Si può acconsentire a qualcosa che non si vuole. Indipendentemente dai motivi, se una donna non oppone resistenza o non dice no, acconsente. E gli uomini si sforzano di non sentire questo no. Con una legge sul consenso invece dovrebbero sforzarsi di avere un sì".

Il paradosso del femminismo

Johanna Koljonen ha messo in evidenza un paradosso: in un paese egualitario come la Svezia, dove il femminismo è molto diffuso, dove le donne hanno ottenuto più che altrove il diritto al rispetto, come si possono verificare questi malintesi? La sua risposta è: "bisogna parlarne".

Nel caso Assange, due ragazze rimproverano al fondatore di WikiLeaks di aver avuto rapporti senza preservativo. In entrambi i casi Assange ha negato qualunque forma di aggressione e afferma che la relazione era consensuale fin dall'inizio. È a partire da questo malinteso, e perché le due svedesi sono state molto criticate su internet – la reazione più diffusa è stata: "hanno avuto quello che si meritavano" – che il dibattito si è infiammato in Svezia. Lo stesso Assange ha gettato benzina sul fuoco accusando la Svezia di essere "l'Arabia Saudita del femminismo".

Gli svedesi sono vittime di un certo mito svedese? In Monika e il desiderio (1953), Ingmar Bergman ha filmato una giovane e disinibita Harriet Andersson mentre si bagna nuda. Questa scena aveva accreditato l'idea di un "peccato svedese", secondo il quale una donna libera dovrebbe essere automaticamente una donna di facili costumi. Ma dovremmo rivedere Monika e il desiderio e reinterpretare il lungo sguardo di Harriet Andersson mentre si appresta ad andare a letto con un uomo che ha appena lasciato. Uno sguardo che Jean-Luc Godard ha definito "la sequenza più triste della storia del cinema". (traduzione di Andrea De Ritis)

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