A poco meno di due mesi dal referendum sull’Unione europea, due sondaggi (uno del Guardian, l’altro del Telegraph) assegnano la maggioranza dei voti, rispettivamente il 53 e il 54 per cento, alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea (Ue).
Queste percentuali sono da prendere con cautela perché un sondaggio è solo la fotografia di un momento e gli istituti britannici hanno alle spalle una lunga storia di errori. Al momento non c’è niente di garantito, anche perché la campagna è appena cominciata. Tuttavia sorprende che proprio quando David Cameron, primo ministro e grande nemico del Brexit, attraversa una fase di acuta impopolarità, abbiamo, seppure per un solo giorno, una chiara maggioranza di britannici contrari all’uscita del loro paese dall’Ue.
La situazione è tanto più sorprendente se pensiamo che il numero di indecisi si riduce progressivamente e che finora i sondaggi avevano assegnato un vantaggio agli euroscettici da sempre numerosi nel Regno Unito, paese dove il continente è tradizionalmente considerato una fonte di guerre e problemi.
Se altre istantanee confermeranno quella di ieri, se il no alla Brexit dovesse prevalere il prossimo 23 giugno, se i britannici esprimessero finalmente il loro attaccamento all’idea di unità europea, le conseguenze sarebbero enormi. In questo modo i britannici comunicherebbero agli altri europei che nemmeno loro vogliono sciogliere l’Unione nonostante la loro insularità, la loro singolarità e i loro mezzi d’informazione a maggioranza euroscettica.
Questo messaggio colpirebbe duramente le nuove estreme destre europee dimostrando che, nonostante le delusioni e la rabbia suscitate dal funzionamento dell’Unione, non esiste una maggioranza europea contraria a un’opera in costruzione da sei decenni, ancora incompleta ma la cui presenza è diventata una costante per due generazioni.
Certo, è ancora possibile che alla fine trionfi il Brexit. In questo caso si verificherebbe un vero e proprio terremoto, perché molti uomini politici e partiti si precipiterebbero nella breccia per giocarsi le loro carte, la pressione per indire altri referendum simili crescerebbe in tutta Europa e i difensori del progetto europeo si ritroverebbero sulla difensiva. Riprendersi da un colpo del genere sarebbe molto difficile.
L’unica certezza è che, Brexit o non Brexit, l’Unione dev’essere ricostruita da quelli che vogliono andare più lontano verso l’unità politica e quelli che rifiutano di seguirli perché gli basta il mercato comune e non vogliono rinunciare alla sovranità. Nei prossimi due mesi si giocherà il destino dell’Europa, e niente è più importante di questa battaglia.
Questo articolo è uscito in origine in italiano su Internazionale.it