Intervista Intervista a Mateusz Kijowski
Mateusk Kijowski durante una manifestazione a Varsavia, il 13 marzo 2016.

“In Polonia si sono poste le basi per l’instaurazione di uno stato totalitario”

Dal suo arrivo al potere il partito Diritto e giustizia (Pis) mette a dura prova le basi dello stato di diritto, afferma Mateusz Kijowski, leader del Comitato per la difesa della democrazia (Kod), che guida le proteste antigovernative e filoeuropee degli ultimi mesi e che ha appena ricevuto dal parlamento europeo il premio del Cittadino europeo.

Pubblicato il 24 Ottobre 2016 alle 07:57
KOD  | Mateusk Kijowski durante una manifestazione a Varsavia, il 13 marzo 2016.

VoxEurop: Come è nato il Comitato di difesa della democrazia?

Mateusz Kijowski: Per caso, anche se il bisogno era evidente. Krzysztof Łoziński, [oppositore al regime in epoca comunista], ha scritto un articolo intitolato “Bisogna fondare un Comitato di difesa della democrazia” ricordando il Comitato di difesa degli operai (Kor) creato nel 1976. Il giorno dopo l’ho condiviso su Facebook, suscitando un grande interesse. Quando Danuta, la moglie di Jacek Kuroń (uno dei fondatori del Kor) ha messo mi piace, ho creato un gruppo, nel quale si potevano discutere i temi affrontati nell’articolo.

Nel testo si sottolinea che la situazione è difficile, simile a quella degli anni Settanta, e che alcuni valori fondamentali sono a rischio. Di conseguenza bisogna agire, come al tempo del Kor, in modo trasparente seppur opponendosi fermamente. L’autore menziona tre elementi: il controllo dei dirigenti e le manifestazioni; l’educazione; l’aiuto accordato a chi ha sofferto del “buon cambiamento” annunciato dal partito Diritto e Giustizia (Pis) al suo arrivo al governo.

Che è successo in seguito?

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In tre giorni, 30mila persone si sono iscritte al gruppo Facebook. Volevano formare un’organizzazione e desideravano scendere in piazza ed essere attivi nel mondo reale. Molti imprenditori hanno offerto gratuitamente i loro servizi, come ad esempio stampa di volantini o trasporti. Abbiamo organizzato una prima manifestazione il 3 dicembre davanti al Tribunale costituzionale. Nove giorni più tardi, si è svolta la prima marcia che raggruppava tutti i partiti di opposizione (i tre presenti in Parlamento più le formazioni di sinistra che non hanno superato la soglia di sbarramento alle elezioni).

Ci aspettavamo qualche migliaio di persone ma alla fine sono arrivati non meno di 70mila manifestanti; eravamo tutti molto sorpresi. Tutto è cominciato così.

Chi sono i sostenitori di Kod e quali sono i vostri riferimenti nei mezzi d’informazione?

I nostri sostenitori sono semplici cittadini. I mezzi di informazione tradizionali si sono immediatamente interessati a ciò che facevamo. È stato insolito vedere così tante persone impegnarsi con tale rapidità. E questo grazie ai social network. Normalmente, quando qualcuno crea un evento su Facebook, soltanto il 10 per cento degli internauti che hanno mostrato l’intenzione di partecipare lo fa davvero. In questo caso è successo il contrario: è stato veramente un fenomeno eccezionale. Questi cortei hanno raggiunto un’ampiezza fuori dal comune: la seconda grande manifestazione si è svolta il 19 dicembre in più di venti città polacche. E quella successiva, dedicata alla difesa dei media liberi, ha avuto luogo il nove gennaio.

Che futuro ha il movimento?

Stiamo realizzando strutture che tentiamo di collegare alle istituzioni per rendere più efficace il movimento. Vogliamo riuscire a operare su una scala più vasta, perché le azioni spontanee sono sufficienti solo all’inizio. Così, abbiamo creato un’associazione. Alcuni media si sono avvicinati a Kod, ad esempio il sito d’informazione koduj24.pl e oko.press, un sito di divulgazione di informazioni simile a Wikileaks.

La democrazia è davvero in pericolo in Polonia? Se sì, perché?

Di fatto, in Polonia non c’è più democrazia. Le leggi votate dalla maggioranza parlamentare ci hanno già spogliati di una parte dei nostri diritti civili. I cittadini possono essere sorvegliati senza controllo giudiziario. La procura è totalmente sottomessa al potere politico. La funzione pubblica è stata smantellata a vantaggio dei rappresentanti del partito. La nuova legge che regola il mercato dei terreni agricoli rimette in discussione il diritto alla proprietà. Infatti, gli agricoltori praticamente non possono più vendere a nessuno la loro terra. Non possono dunque chiedere dei prestiti perché le banche non vogliono più concederli, poiché non possono ipotecare i terreni, visto che, a ogni modo, non possono diventarne proprietari.
In molti casi si sono poste le basi per l’instaurazione di uno stato totalitario. Possiamo dirci sollevati del fatto che non ci siano prigionieri politici e che nessuno ci spari per strada, ma i nostri diritti civili non dipendono più dalle garanzie legali e costituzionali ma dalla benevolenza dei funzionari e dei politici.

Pensate che la voce di KOD sia ascoltata in Europa?

Mi confronto spesso coi media e i dirigenti europei e del resto del mondo, come ad esempio americani e giapponesi. In particolare, i nostri contatti con le personalità politiche straniere ci mostrano che sono al corrente di ciò che succede in Polonia. Alcuni rappresentanti dell’Ue ci hanno detto che le nostre manifestazioni li hanno impressionati.

Questa attenzione ha una grande importanza per noi perché contiamo sull’appoggio dei nostri amici in Europa. Abbiamo valori, regole e obiettivi comuni, sebbene il governo polacco voglia frapporsi fra i cittadini europei e l’Ue.

**Ma i valori polacchi sono davvero uguali a quelli europei? Le elezioni del 2015 non hanno appunto dimostrato che i polacchi erano più conservatori?

Non sono avvenuti importanti sconvolgimenti all’interno della società. I cittadini erano abbastanza stanchi del governo precedente, guidato da Piattaforma Civica (Po) [fra il 2007 e il 2015]. Le persone dicevano che bisognava cambiare qualcosa. Questa atmosfera era alimentata dall’opposizione e dalle persone che volevano approfittare del malcontento generale.

In ogni caso, la nostra società è molto filoeuropea: le persone si identificano coi valori europei e i sondaggi sottolineano che più dell’80% dei polacchi sono soddisfatti dell’appartenenza all’Ue. Mi pare che questo dato sia più basso in tutti gli altri stati membri.

Come spiega dunque il fatto che il Pis abbia vinto le elezioni del 2015?

Non è stato il Pis a vincere le elezioni, bensì le altre formazioni politiche a perderle. Non ci sono stati drammatici capovolgimenti conservatori. Soltanto il 18 per cento dei cittadini aventi diritto al voto hanno espresso la loro preferenza per questo partito, ovvero il 37 per cento del totale dei votanti.

Sono stati ben altri fattori a contribuire a conferirgli la maggioranza assoluta. Gli elettori potevano scegliere fra due liste di sinistra che non hanno superato la soglia di sbarramento [del 5 per cento per i partiti e dell’8 per cento per le coalizioni], ma che avrebbero raccolto più del 10 per cento dei suffragi se si fossero presentate unite. Se avessero fatto fronte comune, avrebbero ottenuto qualche decina di seggi. Il PiS non avrebbe avuto la maggioranza e, per formarla, sarebbe stato costretto a unirsi a una coalizione. Ne sarebbe scaturita una situazione diametralmente opposta.

Che ruolo dovrebbe giocare la Polonia in Europa oggi?

La Polonia è uno dei più grandi stati membri dell’Ue, e rappresenterà il quinto paese più popoloso dopo l’uscita del Regno Unito. Il suo ruolo dovrebbe essere il riflesso della sua importanza demografica. Ma ciò che conta non sono tanto i diritti della Polonia bensì la missione che deve portare a termine. Il nostro attaccamento all’integrazione europea dovrebbe essere contagioso per far sì che gli altri paesi membri costruiscano la comunità con entusiasmo e difendano i suoi valori.

Dovremmo porre l’enfasi su valori come l’apertura, la tolleranza, l’accettazione del multiculturalismo e la cooperazione che si basa su un comune mercato del lavoro e dei capitali. L’approfondimento dell’integrazione è, a mio parere, la strada da seguire.

La Polonia dovrebbe agire per mezzo del gruppo di Visegrád?

Non penso che il gruppo di Visegrád possa giocare un ruolo importante nel contesto attuale. Certo, il Presidente del PiS, Jarosław Kaczyński, e il primo ministro ungherese Viktor Orbán si sono accordati sul fatto che sarebbero rimasti solidali in qualsiasi caso, ma gli slovacchi e i cechi hanno immediatamente preso le distanze.

Le nostre strade si sono divise. D’altronde è giusto sottolineare che, per quanto il governo ungherese goda di un forte sostegno popolare, il Pis dal canto suo rischia di perdere rapidamente il potere, e la collaborazione fra Kaczyński e Orbán rischia dunque di fallire presto. Sono convinto che la Polonia ritroverà il buon senso e che i nostri amici del gruppo di Visegrád vorranno a quel punto riallacciare relazioni più forti per sostenerci a vicenda in quanto sub-regione.

Quale posizione dovrebbe assumere la Polonia sulla crisi dei migranti?

L’attuale linea politica del governo è incomprensibile per non dire scandalosa. Facciamo parte dell’Unione europea per risolvere insieme i problemi comuni. Alcuni ritengono che siano affari della Grecia e dell’Italia ma la verità è ben altra. Immaginiamo che centinaia di migliaia di rifugiati ucraini comincino ad affluire in Polonia. Accetteremmo forse che l’Ue ci dica che è un nostro problema? Certo che no, perché bisognerebbe risolverlo insieme.

In che modo si può far maturare l’opinione pubblica polacca?

La Polonia dovrebbe investire nell’educazione dei cittadini. L’ignoranza di un gran numero di polacchi è la ragione dell’atteggiamento negativo nei confronti dei rifugiati. Il partito al potere ha fatto sforzi notevoli per suscitare queste preoccupazioni, con un approccio profondamente xenofobo. Kaczyński ha addirittura dichiarato che i rifugiati sono portatori di microbi contro i quali sono immuni ma che sarebbero per noi fatali. È una teoria assurda.

I polacchi dovrebbero capire, peraltro, che abbandonare il proprio paese natale non è mai una passeggiata. Queste persone scappano dal proprio paese perché non possono più viverci. Per questo motivo, vale la pena di impegnarsi sulla scena internazionale, prendendo parte alla risoluzione dei conflitti. È necessario trovare una soluzione per aiutarli prima che lascino la loro patria. Ma se sono obbligati a venire qui, bisogna occuparsene. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che i flussi migratori si intensificheranno, anche solo in ragione dei cambiamenti climatici. Se ci prepariamo rapidamente, saremo in grado di accoglierli nel modo adeguato.

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