Lukashenko, dittatore di casa nostra

Mentre gli europei si indignano per la repressione ordinata da Gheddafi, alle loro frontiere orientali un altro regime perseguita impunemente i propri oppositori.

Pubblicato il 8 Marzo 2011 alle 15:12

Il quartiere generale del Kgb nel centro di Minsk è noto ai residenti con il soprannome di “Amerikanka”. Nessuno sa con certezza come l’enorme complesso si sia guadagnato tale nome, ma tutti in Bielorussia sanno che non è un posto dove è piacevole ritrovarsi.

Con le sue colonne corinzie e le sue pareti giallo acceso, dall’esterno l’edificio sembra innocuo. Invece è una vera e propria gabbia per gli ultimi prigionieri politici d'Europa, e l’epicentro della brutale repressione a opera dell’ultimo dittatore del continente.

Aliaksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, ha governato il suo paese con il pugno di ferro sin da quando ha conquistato l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Negli ultimi due mesi le sue forze di sicurezza hanno dato la caccia agli oppositori con una ferocia degna dell'epoca sovietica.

In pratica, tutti i candidati alla presidenza che hanno osato sfidare Lukashenko alle elezioni del dicembre scorso sono stati messi in carcere o agli arresti domiciliari. Si parla di torture, e di forti pressioni sui candidati a denunciarsi a vicenda in dichiarazioni filmate.

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Alcuni sono crollati e hanno ceduto, altri si sono opposti e adesso rischiano anni di carcere, e solo per aver partecipato alle elezioni. Cinque avvocati che li avevano difesi sono stati radiati, mentre altri 700 cittadini comuni sono stati arrestati in quella che Human Rights Watch ha definito una “pagliacciata di giustizia”. E i processi farsa, in un paese dove la polizia segreta si chiama ancora Kgb, sono appena agli inizi.

La settimana scorsa Aliaksandr Otroshchenkov, addetto stampa di un esponente dell’opposizione, è stato portato in tribunale, chiuso in una gabbia e condannato a quattro anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza al termine di un dibattimento durato poche ore. I procuratori hanno accusato Otroshchenkov e altri due imputati di aver commesso atti di vandalismo durante una protesta a Minsk, la sera delle elezioni presidenziali.

Il trentenne imputato ha ammesso di aver preso parte alle manifestazioni – alle quali si stima che fossero presenti circa 30mila persone – ma ha smentito di aver provocato danni. Il cosiddetto “atto di vandalismo” che potrebbe costare a Otroshchenkov quattro anni di carcere consiste nell’aver “colpito una recinzione di legno”.

Nelle prossime settimane i processi continueranno. Altre 18 persone, tra cui i sette candidati alla presidenza che hanno sfidato Lukashenko, dovranno difendersi dall’accusa di aver organizzato disordini di massa, reato che può comportare pene fino a 15 anni di reclusione.

Tra gli imputati c’è anche Ales Mikhalevich: per due mesi questo avvocato trasformatosi in politico dell’opposizione è rimasto chiuso a languire all’Amerikanka, dopo che gli agenti del Kgb avevano sfondato a calci la porta di casa sua e lo avevano arrestato all’indomani delle manifestazioni di Minsk contro il risultato delle elezioni. Mikhalevich, 35enne e padre di due figli, è stato liberato il 19 febbraio, ma soltanto dopo aver firmato una dichiarazione in cui si impegnava a collaborare con il Kgb e a non riferire a nessuno quello che gli era accaduto.

La settimana scorsa, però, Mikhalevich ha fatto qualcosa di notevole: è riuscito a eludere la sorveglianza delle sue guardie e si è recato a una conferenza stampa nel corso della quale, davanti a una troupe di giornalisti operatori, ha stracciato la copia del documento da lui firmato al Kgb e ha fornito un resoconto dettagliato delle torture subite da lui e dagli altri prigionieri. Poi ha concluso: "Mi rendo conto che prima che il sole tramonti potrei ritrovarmi in cella. Farò tutto il possibile perchè questo campo di concentramento nel centro di Minsk chiuda per sempre".

Fuga di mezzanotte

Di Andrei Sannikov non si è saputo nulla per 10 settimane. È uno dei due candidati alla presidenza trattenuto all’interno dell’Amerikanka senza poter comunicare con nessuno. L’altro è Nikolai Statkevich. Sannikov, 54 anni, è un ex diplomatico e uno dei leader più illustri dell’opposizione arrestati durante le proteste del 19 dicembre scorso, quando è stato picchiato dagli agenti antisommossa.

Sua moglie, la giornalista Irina Khalip, è invece agli arresti domiciliari e due agenti del Kgb sono di guardia al suo appartamento. Sua sorella Irina Bogdanova, che si è trasferita in Gran Bretagna negli anni novanta, ha detto che “le condizioni in cui è tenuto sono spaventose. La temperatura della cella è tra gli 8 e i 10 gradi, e finora ha potuto parlare con il suo avvocato solamente durante gli interrogatori”.

Vladimir Neklyaev non si trovava ancora in piazza Indipendenza quando è stato circondato dagli agenti antisommossa. Neklyaev è stato picchiato e portato in ospedale, ma le ferite non gli hanno evitato l'arresto. Questo poeta 64enne è stato portato via a forza dagli agenti del Kgb e trasferito all’Amerikanka. Sua figlia Eva Neklyaev ha detto che “gli agenti non hanno mostrato alcun documento, né gli hanno detto che era in arresto. Se lo sono semplicemente portato via avvolto in una coperta. Solo otto giorni dopo ci hanno detto dove si trovava”.

Molti di coloro che sono stati arrestati e poi rilasciati negli ultimi due mesi hanno ormai abbandonato il paese. Natalia Koliada lavora con il Free Belarus Theatre, un gruppo di artisti che allestisce spettacoli senza censura in teatri nascosti. È stata arrestata durante le manifestazioni in piazza Indipendenza e poi rilasciata per un vizio procedurale. La sua famiglia ha atteso che scoccasse la mezzanotte del 31 dicembre per passare la frontiera ed entrare in Russia, eludendo i controlli delle guardie che si erano ubriacate.

Esortando l’Europa e la Gran Bretagna ad assumere una posizione di maggior fermezza nei confronti della Bielorussia, Koliada ha detto: "Minsk è a sole due ore di volo da Londra. Il governo del Regno Unito deve dare un forte segnale al popolo bielorusso, facendogli capire che non è solo. Non abbiamo gas, non abbiamo petrolio, non abbiamo nulla che rappresenti un interesse geopolitico per paesi come la Gran Bretagna. Ma siamo un popolo: non aspettate di vederci ammazzati in strada per darci una mano". (traduzione di Anna Bissanti)

Testimonianza

Due settimane in una prigione bielorussa

"Una cella squallida con un gabinetto lurido e un enorme giaciglio di paglia. Niente materasso e niente cuscino. Sudice pareti gialle e un fetore nauseante. La mattina ti svegli tremando dal freddo". Andrzej Poczobut, corrispondente di Gazeta Wyborcza e attivista per i diritti della minoranza polacca in Bielorussia, descrive così le condizioni di vita nella famosa prigione Akrescina di Minsk, dove sono rinchiusi gli oppositori del regime. La vita dietro le sbarre è monotona e ripetitiva: "sveglia alle 6, pulizia della cella, alle 8 una colazione composta di grano saraceno e qualcosa che assomiglia solo vagamente al tè, servito in tazze bollenti di alluminio dell'epoca di Kruscev; pranzo alle 16, cena alle 19, due ore dopo ispezione delle celle e così se ne va un altro giorno… Solo di tanto in tanto accade qualcosa di inatteso. 'L'ultimo ad uscire si becca un calcio nel culo…', sento strillare nel corridoio. Una guardia annoiata ha appena deciso di effettuare un'ispezione straordinaria". Poczobut è stato rilasciato il 25 febbraio dopo 14 giorni, durante i quali sostiene di non essere stato torturato dai "brutti ceffi del Kgb" soltanto grazie all'intervento del presidente polacco Bronisław Komorowski e del presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek. Questa volta gli è andata bene.

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