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Siamo tutti pirati

La vendita di Pirate Bay, il più importante sito di file sharing del mondo, e la volontà di governi come quello francese di scoraggiare il download illegale rilanciano il dibattito sulla proprietà intellettuale. Tutti gli utenti di internet sono potenziali delinquenti, scrive Dilema Veche.

Pubblicato il 22 Luglio 2009 alle 18:18
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La pirateria multisupporto nell'industria di distribuzione dei dischi su vinile o delle cassette era estremamente diffusa in Romania fin dagli anni Cinquanta. Negli anni Ottanta circolavano fotocopie di libri che il sistema comunista aveva "vietato", e negli anni Novanta sono apparsi i grandi collezionisti di cassette e di cd pirata. Per loro la transizione agli mp3 è stata semplice. In prospettiva romena è facile parlare di pirateria, poiché la storia ci ha insegnato che una copia poteva avere più valore dell'originale. I romeni hanno la pirateria nel sangue. Adattiamo facilmente le nuove tecnologie alle nostre esigenze e consideriamo gratuito il supporto multimediale.

Ma la realtà è più complicata. Il caso di Pirate Bay, finito come Napster – cioè comprato da una multinazionale intenzionata ad abbandonare il principio del "kopimi" [copiami] e a far pagare i diritti di diffusione del sistema p2p (peer to peer) – è un buon esempio della maniera in cui le cose evolvono. Nel processo a Pirate Bay siamo tutti colpevoli e questa consapevolezza dovrebbe trasformare la condivisione dei file in un fenomeno di massa. Quando ci renderemo conto che partecipare significa non solo scaricare file ma anche inviarne, allora saremo abbastanza maturi per partecipare all'ecosistema multimediale, che si tratti di giornalismo militante o di reti sociali che applicano il principio dell'open source in tutti i settori.

1,9 milioni per 24 pezzi

In piena crisi economica gli organismi di protezione del diritto d'autore e i governi – pronti a difendere i loro paesi contro degli adolescenti squattrinati che vogliono leggere e ascoltare la musica – creano leggi dissuasive. I fondatori di Pirate Bay sono gli eroi di questo fenomeno, Peter Sunde [fondatore e portavoce di Pirate Bay] è stato il primo accusato ad avere condiviso i suoi stati d'animo via Twitter dal banco degli accusati durante il suo processo. Lo spettacolo multimediale o "Spectrial" [contrazione di spectacle e trial, processo in inglese] che ne è seguito è servito da trampolino elettorale al Partito dei pirati, presente da quest'anno al Parlamento europeo [prima e durante il processo gli accusati hanno moltiplicato i sit-in e hanno diffuso comunicati sul sito Spectrial per dare risonanza alla loro causa].

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Poche settimane fa negli Stati Uniti una madre single è stata condannata a pagare 1,9 milioni di dollari per aver scaricato 24 brani di musica su Kazaa. In uno spot della campagna tedesca di lotta contro la pirateria informatica, una madre e il figlio di quattro anni cantano "Happy Birthday" davanti alla prigione dove il padre si trova rinchiuso, perché ha scaricato un cartone animato per suo figlio. I francesi non solo vogliono tagliare la connessione internet a chi scarica illegalmente (dopo tre avvertimenti), ma anche costringere i pirati a continuare a pagare l'abbonamento. La demonizzazione di chi condivide file senza pagare un tributo alle grandi imprese che li producono è alimentata dagli spauracchi che il sistema utilizza a vanvera. Cercare di muovere una guerra contro tutti è una misura non solo inefficace, ma del tutto irrazionale. L'argomento più utilizzato contro la pirateria – al quale si può replicare che le cifre di vendita dei prodotti digitali non scendono, anzi aumentano – si basa sulla difesa degli artisti che hanno bisogno del denaro dei consumatori per vivere e creare. Ma per regolamentare questo rapporto basterebbe ripensare il quadro giuridico dei diritti sulla proprietà intellettuale. I musicisti potrebbero fare affidamento soprattutto sui concerti e su un marketing alternativo, settori molto più redditizi di quel 5-7 per cento che ricevono dalle case produttrici. Nel frattempo l'industria cinematografica ha imparato a fare tesoro dei progressi tecnologici, che le permettono di sviluppare nuovi prodotti come il cinema a 3D, 6D e così via, che ci spingono ad andare al cinema anziché rimanere a casa.

La guerra cominciata contro gli utenti di internet, che spesso non si possono permettere di comprare legalmente un cd o un dvd (un lavoratore cinese, per esempio, dovrebbe lavorare cento ore per comprarsi la licenza di Windows, mentre a un giapponese basterebbero 40 minuti di lavoro), è fondata su strategie inadatte al nuovo paradigma dell'informazione. Un giorno diventeremo più maturi e cominceremo a trattare il virtuale come un nuovo elemento naturale. Nel frattempo imporre una "licenza globale" a forfait, una tassa mensile per scaricare i prodotti culturali digitali, con un chiaro sistema di diritti d'autore, potrebbe essere un'iniziativa più intelligente e più efficace della colpevolizzazione di milioni di utenti.

OPINIONI

La tecnologia batte la giustizia

Il file sharing illegale è quasi vecchio quanto internet, sostiene un servizio del Financial Times, e si è affermato grazie a Napster nel 1999. A dieci anni di distanza, l'industria musicale non riesce ancora a risolvere i problemi creati da questo sito. L'anno scorso per ogni pezzo acquistato on-line, dice il quotidiano, venti sono stati scaricati illegalmente. L'industria cinematografia è altrettanto preoccupata. Un'industria che "si ritrae come una vittima e chiede enormi risarcimenti a madri single e consumatori comuni ha solo fatto il gioco di Pirate Bay e degli utenti che rubano musica e film per motivi ideologici", sostiene il Financial Times. La questione è finita al parlamento europeo con l'elezione in Svezia di Christian Engström, il primo eurodeputato del Pirate Party il cui intento è ridurre la durata del copyright a cinque anni e legalizzare "la copia e l'uso non commerciale". Proprio come le ditte che distribuivano ghiaccio non potevano rendere illegali i frigoriferi, dice Engström, "così la legge non dovrebbe tutelare un modello commerciale obsoleto". Alcuni esperti del settore saranno d'accordo: visto che la tecnologia supera i precedenti legali, dare la caccia ai nuovi siti è inutile.

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