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Carta bianca ad Assad

Se in Libia l'Europa ha optato per l'intervento militare, di fronte alla brutale repressione dell'opposizione siriana si è limitata a imporre limitate e tardive sanzioni. L'introduzione del Servizio europeo di azione esterna ha sortito l'effetto opposto a quello sperato.

Pubblicato il 12 Maggio 2011 alle 13:33
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Il motivo del rifiuto degli alleati occidentali di intervenire nella rivolta siriana come hanno fatto in Libia potrebbe essere legato semplicemente all'impossibilità di farlo. La repressione delle proteste da parte del regime di Assad non è meno inumana e inaccettabile di ciò che Gheddafi ha fatto e continua a fare nel tentativo di stroncare la ribellione dei suoi cittadini.

Ma in Siria ogni intervento militare sarebbe molto più complesso, e considerata la posizione strategica del paese le conseguenze nel vespaio mediorientale potrebbero essere incalcolabili. Non c'è quindi da stupirsi se l'occidente non ha fretta di buttarsi nella mischia, soprattutto tenendo conto dello stallo in cui si è impantanato in Libia.

Le difficoltà incontrate dalle forze occidentali in Libia non sono affatto sorprendenti. Al contrario rappresentano una conseguenza perfettamente logica dell'incapacità dell'occidente di capire in anticipo come intendeva raggiungere l'unico obiettivo sensato (e finalmente lo stanno ammettendo) dell'intera campagna: la cacciata di Gheddafi.

Le ragioni pratiche della decisione di non provare a evitare che i carri armati continuino a massacrare i dimostranti non sono però una giustificazione valida per l'Unione europea, che durante le ultime crisi ha nuovamente fallito su tutta la linea e non è nemmeno riuscita a fare quel poco che era in suo potere in tempi accettabili.

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Come è possibile che soltanto ora siano state decise dure sanzioni contro alcuni dei più alti esponenti del regime siriano, e che il capo del regime, il presidente Bashar al-Assad, non sia ancora nella lista? Come è possibile che il via libera dell'Unione europea all'embargo sulle armi contro la Siria sia arrivato soltanto lunedì, almeno due mesi dopo lo scoppio della protesta? Entrambi i provvedimenti potrebbero essere appena più che simbolici. Ma perché almeno non sono arrivati prima, in modo da mandare quel segnale realmente "chiaro e forte" di cui parlano i politici europei? Ne viene fuori, come sempre, soltanto una dimostrazione di impotenza.

Paradossalmente una ragione potrebbe essere l'ostinata costruzione di una diplomazia comune europea. Finora, però, le uniche conseguenze di questa diplomazia comune sul sogno dell'Unione di esercitare la sua azione in campo internazionale sono state assolutamente negative.

Le decisioni continuano a essere prese nello stesso modo di prima: gli stati membri più influenti si mettono d'accordo tra loro. Solo che adesso, per rendere la cosa meno imbarazzante, è stato aggiunto un altro giro di consultazioni per ragioni meramente formali. E così sono stati coinvolti il capo della politica estera Ue lady Ashton e il suo gruppo. Non c'è da stupirsi se Bruxelles riesce a fare ancora meno di ciò che faceva prima. (traduzione di Andrea Sparacino)

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