La congiura degli stupidi

Continuando a proporre la fallimentare ricetta dell'austerity ai paesi indebitati, l'Unione europea danneggia i suoi partner e sé stessa senza trarne alcun vantaggio. Un atteggiamento difficile da spiegare con la razionalità.

Pubblicato il 31 Maggio 2011 alle 15:54

Qualche tempo fa, dopo la conclusione del Consiglio europeo di primavera, mi sono chiesto se il re era nudo. Mi sforzavo di capire quella che mi sembrava una grande contraddizione fra ciò che era stato promesso e i risultati ottenuti, incredibilmente miseri e modesti. Ho assistito stupefatto al miracolo della moltiplicazione delle dichiarazioni dei responsabili dell'Unione europea, talvolta contraddittorie e quasi sempre incendiarie, nei confronti dei mercati.

Con il suo non comune senso dell'analisi, con la sua intelligenza e brillante cultura, il mio amico storico José Medeiros Ferreira paragona la situazione attuale dell'Europa agli ultimi anni dell'impero austro-ungarico, quando il potere era nelle mani di una burocrazia sconnessa dalla realtà. Credo che abbia perfettamente ragione: la burocrazia dell'Unione, che ha fatto tanto per allontanare i cittadini dall'idea stessa di Europa, si limita a curare i propri interessi, senza preoccuparsi del progetto europeo.

Quando leggo le dichiarazioni del presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet (e sono convinto che il suo successore Mario Draghi, accecato dalla sua volontà di apparire più tedesco dei tedeschi, non si allontanerà molto dalla posizione ufficiale e ufficiosa della Bce) in favore delle insostenibili misure imposte alla Grecia, mentre la Bce comincia ad aumentare i tassi di interesse nonostante la crescita anemica della zona euro e la crisi dei paesi periferici, non posso fare a meno di chiedermi se l'indipendenza delle banche centrali sia veramente una buona idea.

La cosa che faccio più fatica a comprendere è perché i principali dirigenti politici europei continuino a insistere con una cura i cui risultati sono stati negativi su tutti i pazienti a cui è stata somministrata, finendo per essere controproducente per loro stessi e per gli interessi che dovrebbero difendere.

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Ho fatto molti sforzi per cercare di capire la logica di questo comportamento e ammetto di aver pensato in passato a una volontà etica, legata all'esigenza di difendere gli investitori titolari delle obbligazioni emesse dai cosiddetti paesi periferici. Ma poi, una volta constatato che si trattava di investimenti che con il pretesto di un rischio elevato producono una remunerazione molto superiore a quella dei titoli più sicuri, sono arrivato alla conclusione che nessun argomento morale poteva essere opposto alla possibilità che i creditori sacrifichino una parte dei loro profitti.

E visto che non c'è spiegazione morale che tenga, è lecito chiedersi se tutto ciò non sia dovuto solo a politiche volte a proteggere gli interessi finanziari. Ma anche in questo caso è difficile trovare una logica, perché insistendo su severi programmi di austerity che non fanno altro che aggravare la situazione finanziaria degli stati e ridurre la loro capacità di rispettare gli impegni presi, i politici europei scelgono una strada che danneggia gravemente quegli stessi interessi finanziari.

La regola di Cipolla

Riflettendo su queste cose mi è venuto in mette il brillante saggio di Carlo Cipolla, Allegro ma non troppo: le leggi fondamentali della stupidità umana (Il Mulino) e la sua regola d'oro della stupidità: è stupido chi fa torto a una persona o a un gruppo di persone senza trarne alcun vantaggio, o addirittura finendo lui stesso per esserne danneggiato. Di conseguenza mi sono chiesto se trasponendo l'analisi di Cipolla dall'individuo alle istituzioni non potessimo affermare dire che l'Unione europea è stupida.

A meno che tutto ciò si riveli solo un'elaborata messa in scena, e che esista un piano B il cui obiettivo è quello di cacciare dal club dei ricchi – in altre parole dalla zona euro – i paesi meridionali. Senza dimenticare gli irlandesi che, nonostante il colore degli occhi e della pelle, hanno ingannato l'Europa facendole dimenticare che per molto tempo li aveva trattati come una sorta di negri d'Europa. Del resto sono state proprio queste pecore nere a votare "no" al referendum che doveva rafforzare l'integrazione europea.

Forse è questo che ha voluto veramente dire il commissario greco alla pesca e agli affari marittimi Maria Damanaki*

*il 25 maggio aveva messo in guardia contro il rischio di uscita della Grecia dalla zona euro se non fosse riuscito a fare tutto il possibile per ridurre il suo enorme debito. (traduzione di Andrea De Ritis)

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