Due osservatori dell'Eumm alla frontiera tra Georgia e Ossezia del Sud, nel luglio del 2009. (Afp)

L'Europa tra due fuochi

A distanza di un anno dalla guerra-lampo tra Georgia e Russia, la tensione tra i due paesi aumenta, con accuse reciproche di minacciare la tregua. Incaricata di vigilare sul cessate il fuoco e sul rispetto degli accordi di pace, l’Unione Europea si interroga sul proprio ruolo e sulla propria posizione nel caso in cui il conflitto dovesse riaccendersi.

Pubblicato il 6 Agosto 2009 alle 15:58
Due osservatori dell'Eumm alla frontiera tra Georgia e Ossezia del Sud, nel luglio del 2009. (Afp)

La tensione sul terreno “è altissima, per quanto surreale”, scrive il Sole 24 Ore, perché “nulla di nuovo mette in discussione la situazione anomala cristallizzata un anno fa dopo cinque giorni di scontri: Ossezia del Sud e Abkhazia nelle mani di Mosca, malgrado (quasi) tutto il mondo le consideri ancora parte della Georgia. Tremilasettecento soldati russi presidiano i confini, mentre gli osservatori rimasti - la Missione di sorveglianza dell’Unione Europea in Georgia (Eumm) - monitorano il rispetto della tregua. Il presidente georgiano Mikhéil Saakashvili si mantiene in sella malgrado la guerra, la crisi economica e le proteste dell'opposizione l'abbiano seriamente indebolito rispetto al 2oo8”.

L'Unione europea non ha una "dottrina della reazione"

Del resto, il conflitto ha “restituito alla Russia il suo ruolo di (temibile) attore di primo piano sulla scena internazionale”: lo afferma il caporedattore della rivista Russia in Global Affairs, Fjodor Lukjanov, intervistato dal quotidiano polacco Gazeta Wyborcza. Secondo Lukjanov ci sono anche altre conseguenze: "La guerra ha fermato il processo di espansione della Nato, mostrando che il rischio che uno dei suoi stati membri possa rimanere implicato in un conflitto armato è concreto". Effettivamente le sue parole trovano conferma in quelle del direttore del centro Russia-Nei presso l’Istituto francese delle relazioni internazionali (Ifri), Thomas Gomart, che avalla la sua opinione in un’intervista pubblicata sul quotidiano francese Le Monde: "Washington reputa ormai che non occorra stringere i tempi per l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella Nato, per scongiurare l’eventualità di una destabilizzazione nella regione", anche se – prosegue – "dalla fine della guerra la Russia, colpita dalla crisi economica, ha perduto parte della sua influenza. L’atteggiamento degli europei in definitiva è cambiato meno di altri, anche se sono proprio loro a essere più direttamente interessati dal conflitto" ha osservato ancora Thomas Gomart. Dopo il ritiro, su richiesta di Mosca, delle missioni dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e delle Nazioni Unite, gli osservatori dell’Unione Europea sono rimasti i soli in loco. Si fa notare, in ogni caso, che anche se in futuro l’Unione Europea dovesse essere tirata da una parte o dall’altra dai russi o dai georgiani o se il conflitto dovesse riprendere, “l’Unione non dispone di una propria politica di reazione”.

Finché gli sforzi diplomatici, che da più di un anno hanno luogo sotto il patrocinio dell’Unione, continueranno ad arrancare – osserva ancora Gomart – Mosca e Tbilisi faranno a gara - soprattutto adesso - “per riaffermare davanti al mondo le ragioni che spinsero Saakashvili a cercare di riprendere il controllo su una regione separatista, e il Cremlino a intervenire per impedirlo” osserva ancora il Sole 24 Ore. Dal canto suo El País spiega che per i due Paesi ex belligeranti si tratta di convincere la Missione d’inchiesta internazionale indipendente sul conflitto in Georgia, diretta dal diplomatico svizzero Heidi Tagliavini e condotta sotto l’egida dell’Ue, dei loro diritti e delle loro motivazioni. La Missione ha tempo fino alla fine di settembre per redigere il proprio rapporto sulle cause e sull’andamento del conflitto, ma Tagesspiegel ritiene che essa abbia già concluso che la Georgia innegabilmente contribuì a far scoppiare la guerra. Tuttavia, osserva il quotidiano di Berlino, l’Ue dovrebbe riconoscere che nessun paese ha violato il diritto internazionale: la Georgia è ancora lungi dall’essere una democrazia come la si intende in Occidente, conclude Tagesspiegel, ma gli esperti sono concordi nel ritenere che “soltanto guardando all’Europa, avrà qualche opportunità di diventare democratica”.

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Verso un nuovo conflitto?

Nel frattempo – si legge sul Sole 24 Ore – le parti si comportano "come se volessero ricreare uno scenario che a un certo punto, come un anno fa, potrebbe rotolare inevitabilmente verso la guerra. I russi, per esempio, il 4 agosto hanno alzato lo stato d’allertaé accusando i georgiani di aver lanciato colpi di mortaio su Tshkinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud, e hanno édato il via a manovre militari definite ‘preventive’". Tshkinvali dal canto suo "ha chiuso l'ultimo piccolo tratto di confine con la Georgia rimasto aperto, spiegando di voler evitare provocazioni ma anche citando supposti casi di 'influenza suina registrati in Georgia'. Tbilisi smentisce di aver violato la tregua, esclude ogni piano di attacco ma accusa Mosca di voler cambiare la linea di confine, anche se gli osservatori della Ue non hanno prove per confermarlo”.

Malgrado la tensione abbia raggiunto livelli elevati, gli osservatori non sono unanimi nel ritenere che possa esserci un’imminente ripresa delle ostilità. Sul quotidiano parigino Le Figaro, Alexander Golts, esperto russo di questioni geostrategiche, dichiara che “la Russia non ha alcun motivo per volersi impegnare in un conflitto”, in quanto ha già ottenuto l’obiettivo che si era prefissa: dimostrare all’Occidente le proprie velleità egemoniche nel Caucaso. Pavel Felgenhauer, un altro esperto russo di questioni militari, afferma al contrario che “la Russia sta preparando il terreno per un nuovo conflitto contro la Georgia”, il cui obiettivo, questa volta, sarà esplicitamente quello di “rovesciare il regime” di Mikheïl Saakashvili.

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