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Piazza della pace, Slavonice

Slavonice, la Boemia in Moravia

Questa cittadina vicina al confine austriaco, celebre per le sue case rinascimentali riccamente decorate, è divenuta negli anni novanta la meta obbligata degli intellettuali e artisti cechi.

Pubblicato il 19 Luglio 2011 alle 16:16
Bernadyn  | Piazza della pace, Slavonice

“In India e a Slavonice? Nemmeno per sogno!” proclamavano negli anni novanta i giornalisti Jan Macháček e Zbyněk Petráček, sostenendo che non avrebbero mai ceduto alla moda che all’epoca, nelle caffetterie di Praga, imponeva di visitare le due destinazioni. In effetti penso che nessuno di loro sia ancora andato in India, e se l’ha fatto non è stato nell’ottica di un risveglio spirituale. Al contrario, però, hanno fatto di Slavonice una delle loro mete preferite, perché vi abita un personaggio importante: Viktor Stoilov, celebre editore e amico, al quale abbiamo deciso di far visita.

Il mito di Slavonice città del Rinascimento – vicina al confine con l’Austria e punto di ritrovo di praghesi snob, bohemien e artisti vari, dove ogni edificio è diventato un atelier – si è diffuso rapidamente, anche se al contempo si è affermato anche il mito contrario, che parla di un sozzo buco nei Sudeti, sperduto in capo al mondo, una città fantasma saccheggiata e privata del suo retaggio storico, dalle facciate grigiastre, bazzicata da ufficiali comunisti. Credo che nessuna di queste due leggende sia completamente vera o falsa.

Dietro Slavonice, vicino alla località di Kadolec, resta un tratto di quella famosa barriera di filo spinato che un tempo circondava completamente il nostro paese, da Aš a Bratislava: l’hanno lasciato com’era a testimonianza del giogo sovietico. Al pari di Telč e di Dačice, situate nei paraggi, Slavonice è una città speciale. Pur appartenendo storicamente alla Moravia, dal punto di vista amministrativo dipende dalla Boemia meridionale. Dopo la guerra vi si sono stabiliti abitanti in arrivo da più parti, così la sua popolazione è molto eterogenea e vi si parlano varie lingue. I praghesi sono tra gli ultimi arrivati, ma non tra i più apprezzati.

Sulla celebre piazza rinascimentale della città si trovano alcuni negozi vietnamiti e si può acquistare un po’ di tutto, dalle verdure ai pantaloncini con Topolino. Slavonice va giustamente fiera delle sue case rinascimentali, riccamente decorate da sgraffiti. Rendere la propria casa una sorta di fumetto era la moda da queste parti nel sedicesimo secolo. Ho visto case così ben decorate anche a Gmünd e a Weitra, in Austria. Immagino che una ditta italiana specializzata in sgraffiti avesse conquistato l’intero mercato in tutta la regione, del resto dal punto di vista del design gli italiani sono sempre stati i migliori.

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Le scritte che vi compaiono, però, sono tedesche. Ciò dipende dal fatto che fino al 1945 la città fu abitata da tedeschi di discendenza austriaca, installatisi sin dalla fondazione della città avvenuta a opera del re Přemysl Otakar II nel XIII secolo. A quel tempo i cechi erano assai poco numerosi. La città, in origine una semplice borgata slava, era stata denominata Zlabings e la regione di Slavonice si chiamava Zlabinger Ländchen. Per la stragrande maggioranza la popolazione tedesca non fu affatto lieta, nel novembre 1918, di diventare cecoslovacca. Per convincerla dovette intervenire l’esercito, che circondò la città. Pare che vi furono anche scontri a fuoco. Dopo il 1945 e l’espulsione della minoranza tedesca dalla Cecoslovacchia, tutti lasciarono Slavonice per dirigersi nella vicina Austria, che però era ancora occupata dai russi. A soli 50 metri dal confine è stato eretto un monumento in memoria degli abitanti espulsi da Slavonice.

Per quanto barbara fu l’espulsione della popolazione, non dobbiamo dimenticare che era stata preceduta dallo sterminio della popolazione ebraica. Di quest’ultima non restano ormai che poche case e la sinagoga, diventata oggi un'abitazione, sulla cui facciata compare una piccola scultura di Jiří Netík, un artista locale. Uno sgraffito recita: “Der gerecht dienet auch recht dem Ungerechte”, che mi permetterei di tradurre liberamente così: “Gli si può dare una legnata in testa, ma l’uomo buono resterà buono”. È un versetto tratto dalla Bibbia, dal libro della Genesi. La qualità dello sgraffito-fumetto su questa facciata è notevole: tutti vorrebbero avere una simile decorazione sul muro della propria casa.

Dopo la guerra dei Trent’anni la città precipitò in una grave crisi e in uno stato di arretratezza dal quale non si è ancora sollevata. È proprio questo ad averle consentito di mantenere la sua atmosfera rinascimentale. Vi contribuì in ugual misura anche la decisione dell’imperatrice Maria Teresa di spostare più a est la strada che collegava Vienna a Praga. È così dunque che Slavonice è rimasta nei secoli estranea al progresso, e che ha conservato la sua magica atmosfera rinascimentale.

Patrimonio a rischio

Un giorno dovrò chiedere a Viktor di spiegarmi perché ha scelto di crescere i propri figli a Slavonice. Penso che la storica dell’arte Anna Fárová, questa grande femme della fotografia ceca ed europea in genere, abbia rivestito un ruolo di primo piano nella sua scelta. Anna Fárová visse qui dagli anni novanta fino alla sua morte, avvenuta nel febbraio 2010.

Il rapporto di amicizia che ha avuto con questa signora illustre è stato per Viktor la grande occasione della sua vita: ne divenne infatti editore, confidente e infine suo Eckermann (Nota bene per i lettori più giovani: J.P. Eckermann fu segretario di Goethe, insieme al quale scrisse un libro di dialoghi). Viktor incontrava Anna nella casa rinascimentale abbellita da un bovindo con arcate decorate da sgraffiti, da lei acquistata nel 1996. A quel tempo Slavonice era ancora un piccolo villaggio Potëmkin, con le facciate delle case rinascimentali stranamente ben conservate dietro le quali però altro non c’era se non disordine e caos.

In seguito Fárová battezzò la sua casa Fárův dům [la Casa di Fára], dal nome del marito Libor Fára (1925 – 1988), pittore e scenografo. Nelle sue intenzioni essa sarebbe dovuta diventare un luogo di ricordi, un centro d’archivi, uno spazio vivente con mostre e conferenze, ma alla morte di Anna la casa rimase disabitata e fu lasciata andare in rovina. Oggi pare che nessuno sappia che cosa farne.

In ogni caso, la Casa di Fára costituisce un patrimonio culturale. Se si trovasse in un paese che ha maggior rispetto di queste cose, Francia o Germania per esempio, ci sarebbe già una Fondazione Casa di Anna e Libor Fára, con tanto di museo, centro di ricerca e archivi e la possibilità per gli artisti di soggiornarvi per motivi di studio. Ma non è questo il caso. Qui tutto ciò che è prezioso sparisce in incendi o si riduce in polvere. (traduzione di Anna Bissanti)

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