Il “Grande balzo” arriverà tardi

È il 2031 e l'Europa, dopo aver rischiato il collasso, si è finalmente decisa a intraprendere le riforme a lungo invocate. Ma la Cina ha già conquistato il vertice dell'economia mondiale e l'occidente è sulla via del declino. 

Pubblicato il 22 Agosto 2011 alle 13:11

Sotto lo sguardo degli ammiragli francesi, britannici e polacchi, il varo della Fgs Konrad Adenauer ha mantenuto le promesse della vigilia. Battezzate dallo champagne, le 55mila tonnellate di metalli profilati sono scivolate in acqua alle 10 in punto, nella rada di Wilhelmshaven. Bagnato da una pioggia malevola, il concerto di sirene ha segnato un altro battesimo: quello della marina dell'Unione, quindici anni dopo il "Grande balzo".

"Chi avrebbe mai detto che l'Europa sarebbe andata così in fretta e così lontano nella difesa? Senza dubbio ci voleva che un'altra generazione toccasse il fondo per tirare la testa fuori dall'acqua. A quel punto, ma c'è bisogno di dirlo, è stato molto facile ritrovare lo slancio". Appena rieletto, il numero uno europeo Martin Grand non si è lasciato scappare il piacevole evento. La sua squadra, rinforzata dal verdetto delle urne, è arrivata al gran completo sul Mare del nord. Persino il suo acerrimo avversario italiano, rispedito a Strasburgo come capo dell'opposizione, ha finito per beccarsi la famosa pacca presidenziale.

La Konrad Adenauer salperà nel 2034 insieme alla sue unità d'assalto e tutta la sua gamma di droni multifunzione. La nave ammiraglia dei Reparti d'assalto dell'Ue segna inoltre il ritorno della Germania sulla scena militare dopo una lunga assenza. La missione è ancora incerta. Tuttavia considerando la decadenza della Nato, la cronica instabilità del mondo musulmano e i pericoli crescenti lungo il confine russo-cinese, la Repubblica federale non aveva altra scelta. In mancanza di una strategia propria ha finito col riallinearsi all'asse della difesa.

Nel grande porto di Jade il cancelliere, il primo ministro di Sua maestà e il padrone dell'Eliseo si sono accodati a Grand nel sottolineare "il destino finalmente condiviso" e la "comunione delle sovranità". Mezzo secolo di gelosie scivola nell'oblio. Berlino, Londra e Parigi si ritrovano fianco a fianco in quella che giorno dopo giorno si dimostra essere sempre di più una federazione. Il "ménage à trois" è in luna di miele, e intanto la Russia bussa alla porta. Per il settantacinquesimo anniversario del trattato di Roma l'Unione europea si è rimessa in carreggiata. Dimenticatevi le baruffe sull'agricoltura, le grandi questioni legate all'identità, l'eterno dibattito sulla modifica dei trattati. Il vecchio continente, ricostruito dopo la crisi dell'euro, ha smesso di girarsi i pollici. L'orizzonte ora è più ampio. Meno istituzioni, più potere. Una risorsa fondamentale per proteggere la moneta unica dalla concorrenza del dollaro e dello yuan. Priorità comuni e credibili in politica estera. E per finire, una difesa in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo.

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Il passo più importante, la nomina di un presidente europeo, in realtà ha seguito il corso naturale degli eventi. È bastato fondere tra loro i due presidenti di Bruxelles, quello della Commissione e quello del Consiglio. I vecchi trattati non lo proibivano. Angela Merkel, nominata nel 2013 console dei ventotto, tre anni più tardi è riuscita a vincere le elezioni a suffragio continentale. L'euro è stato salvato, e l'Europa è diventata finalmente una realtà concreta. Dopo diversi lustri il Grande balzo è stato annunciato. Il secondo passo è stato il crollo della sterlina britannica, minata dal deficit e relegata al rango di moneta fossile. Londra ha così onorato la promessa fatta cinquant'anni prima. Dopo la conversione del Regno Unito soltanto il franco svizzero e l'indistruttibile corona ceca continuano a sopravvivere nell'ombra. Il matrimonio della Royal Navy con la Royale francese non è stato altro che una semplice formalità. Anche se probabilmente l'ammiraglio Nelson si è rivoltato nella tomba.

Guardando al passato, è evidente che che il passo più difficile è stato riportare la Germania nella comunità e farla finita una volta per tutte con lo scontro tra le potenze europee, per dirla con le parole del renano Adenauer. La crisi dell'euro e il modello virtuoso imposto dall'economia tedesca all'inizio degli anni dieci hanno lasciato diverse cicatrici. L'Italia, la Spagna, l'ex Belgio, l'Irlanda, il Portogallo e la Grecia ricordano ancora molto bene la purga imposta da Berlino con l'appoggio di Parigi e del Fondo monetario europeo. L'euro, in bilico tra gli ortodossi del nord e gli stati in crisi del sud, per qualche mese è sembrato condannato a morte.

Ma in seguito l'illusione di un'Europa le cui sorti si sarebbero decise nella cancelleria si è presto dissolta. La Germania potenza schiacciante? Tiratasi fuori dalla crisi prima di altri paesi grazie alle esportazioni, la Repubblica federale ha subito più di altri la nuova divisione del mondo e una guerra commerciale senza quartiere con la "cinosfera".

La Germania, inoltre, è invecchiata in fretta. Pochi bambini, molti pensionati, una domanda interna anemica: la tendenza è proseguita impietosamente e alla fine i demografi hanno avuto ragione. La maledizione giapponese incombe. In previsione, nel 2040 il paese si ritroverà ad avere le stesse dimensioni di Francia e Regno Unito. Sono svanite le ipotesi di dominio europeo, nate due generazioni dopo la caduta del muro e la riunificazione. Il ritorno della Germania nei ranghi è stato compiuto anche in materia di politica estera. Dalla rivolta libica alla riunificazione delle due Coree, passando per la crisi pakistana, Berlino ha creduto a lungo che non schierarsi mai fosse la soluzione migliore per proteggere i propri interessi. La Germania ha dunque scelto di non contraddire nessuno. Ma così facendo non ha guadagnato niente. A causa della mancanza di peso internazionale, Berlino non è mai riuscita a entrare al Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Svegliati dal sorpasso

Per l'Ue il vero catalizzatore è stato rappresentato dal doppio sorpasso della Cina ai danni di Europa e Stati Uniti, grazie al quale Pechino è assurta al rango di prima potenza economica mondiale. Il mondo degli affari si era preparato al ritorno del dominio dell'impero di mezzo, ma i governanti e i loro strateghi non avevano colto tutte le implicazioni del cambiamento degli equilibri mondiali. La superpotenza americana era tutto sommato benevola e familiare. I nuovi padroni sono diversi, stranieri nel gusto, nella cultura e negli ideali.

Gli europei continuano a studiare l'inglese e non il mandarino. Non vogliono ascoltare il canto-pop e guardano con sospetto i manifesti dei film prodotti dalla Red Lantern Studios. In cuor loro preferiscono ancora Hollywood. La "cinosfera" ha inglobato l'Asia del sud e l'Estremo oriente, Giappone e Taiwan compresi. Pechino tesse la sua tela in Africa e nel cuore dell'America latina. L'Europa e il Nordamerica cercano un modello alternativo, perché né l'una né l'altro vogliono vendersi anima. Entrambi vedono sull'altra sponda dell'Atlantico un amico rassicurante, conosciuto. Ma la dinamica del progresso e della ricchezza si è chiaramente trasferita altrove. Le tessere del domino cadono una dopo l'altra, a colpi di trilioni di yuan.

Il crollo dell'industria automobilistica europea dopo quella americana, la nascita di una tecnologia e di un'industria del lusso made in Cina e l'acquisto di Shell, Apple e Club Med da parte dei giganti legati a Pechino sono stati evidenti campanelli d'allarme per l'Europa. Lo stesso vale per le concessioni di utilizzo e i bulimici contratti energetici stipulati tra l'iperpotenza e gli autocrati del sud. Messa alle strette, la Russia ha preferito monetizzare il gas e il petrolio piuttosto che rincorrere la promessa di un adesione accelerata allo spazio europeo.

L'Europa progredisce solo in momenti di crisi. I neoprotezioisti che dominano da dieci anni la scena politica europea scommettono su un mondo bipolare, che secondo loro sarebbe l'unica ricetta in grado di ostacolare il declino. Martin Grand, l'uomo della "de-globalizzazzione", è l'alfiere della spaccatura netta. Da un lato un mercato euro-emericano da tra miliardi di consumatori che comprende anche Brasile, India e Turchia. Dall'altro lato, il resto del mondo. Tra i due fronti, una pace armata e barriere commerciali invalicabili e chiuse a doppia mandata. Sperando che la Cina, prima o poi, moderi il suo appetito.

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