Bengazi, 21 agosto. Festeggiamenti per l'ingresso dei ribelli a Tripoli.

I rischi di un “successo catastrofico”

La caduta di Tripoli ha salvato la Nato da un lungo e imbarazzante stallo. Ma l’Europa, divisa e indebolita dalla crisi dell’euro, dovrà trovare il modo di gestire il dopo Gheddafi senza che alle sue frontiere si scateni il caos.

Pubblicato il 22 Agosto 2011 alle 14:31
Bengazi, 21 agosto. Festeggiamenti per l'ingresso dei ribelli a Tripoli.

Non è chiaro quali saranno i costi, in vite umane, dell’ultimo atto: la presa di Tripoli. La battaglia finale nella notte, aperta dai ribelli venuti da Ovest, è comunque una battaglia cruenta, se Gheddafi sceglierà di combatterla fino in fondo, nonostante abbandoni e defezioni dei suoi. Ma è infine giunto il momento della verità, per il dittatore di Libia e per il suo regime. Dopo mesi di una guerra dimenticata nel cortile di casa dell’Europa, la sconfitta di Gheddafi salverà la faccia alla Nato. In teoria. Nei fatti, non sarà semplice da gestire. Se la Libia verrà lasciata a se stessa, da un’Europa alle prese con la propria crisi finanziaria, vittoria e fallimento potrebbero saldarsi. In un «successo catastrofico», secondo l’espressione pessimistica e cinica che sta circolando a Bruxelles.

I precedenti - dai Balcani all’Afghanistan - indicano costi e rischi dei dopo-guerra. Nel caso della Libia, il primo rischio è che la caduta di Gheddafi prepari un nuovo ciclo di violenze, lasciando esposti i civili e risucchiando il vasto fronte dei «vincitori» in un pesante regolamento di conti (passati e presenti). Come verrà garantita la sicurezza? È già chiaro che l’America intende sfilarsi dal gioco, dopo avere partecipato controvoglia alle operazioni militari. Obama non intende fornire né uomini (né aiuti economici rilevanti, probabilmente) alla gestione di un problema che considera parte delle responsabilità europee.

L’Europa, che con Parigi e Londra ha trainato l’intervento militare - ma esponendo così tutti i limiti delle proprie capacità - passerà a sua volta la mano. L’intenzione è di avallare le ipotesi, in discussione all’Onu, di una missione di monitoraggio iniziale affidata a contingenti arabi ed africani. Risultato: nel dopo-Gheddafi, il ruolo di Paesi come la Turchia e le monarchie del Golfo aumenterà. Sul piano formale, le responsabilità di sicurezza saranno dei libici stessi. Con esiti incerti, naturalmente. Anche per gli interessi europei.

Sul piano politico, il rischio è ancora più evidente. Italia, Europa e Stati Uniti hanno scommesso su una ipotesi precisa: che il Consiglio di Transizione Nazionale creato a Bengasi riesca a garantire un processo di riconciliazione, tenendo sotto controllo le rivalità tribali e avviando la costruzione di istituzioni nazionali in un Paese che ne è privo da sempre. Questa scommessa, già difficile, è complicata dal ruolo decisivo assunto dai ribelli occidentali, dai berberi di Nafusa, nella offensiva militare su Tripoli.

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Quanta della Libia anti-Gheddafi sarà disposta a riconoscere la leadership di Bengasi? Gli europei non avranno più la stessa influenza una volta che i ribelli saranno al potere. Il momento di trattare le condizioni per il dopo-Gheddafi è oggi (era ieri), prima del «catastrofico successo» di cui si dice a Bruxelles.

Gli accordi economici possono servire da leva. È scontato e legittimo che i Paesi europei, Italia inclusa, puntino a garantire i propri interessi energetici. D’altra parte, sarebbe assurdo che l’Europa, dopo essersi divisa sulla guerra a Tripoli, si dividesse anche sulla gestione del dopo-guerra: lo scongelamento degli assets libici in Europa deve essere utilizzato per ottenere garanzie sul futuro della Libia.

Negli ultimi mesi, l’Europa ha combattuto due guerre. Una guerra interna con altri mezzi sul destino dell’euro; una guerra esterna tradizionale, sui destini di un Paese chiave del fronte Mediterraneo. Le tensioni interne sulla gestione dell’economia non hanno certo favorito le performance europee in politica estera. La posizione del paese centrale, la Germania, è quanto mai indicativa: economicista, si potrebbe in fondo dire così, sia in casa che nel vicino estero, come ha indicato la posizione distaccata di Berlino sulla guerra in Libia.

La realtà, tuttavia, è che l’Europa vincerà o perderà queste due guerre insieme. Se l’Euro-zona si spaccasse su una linea Nord-Sud, la frattura economica e monetaria dell’Ue diventerebbe parte dell’instabilità geopolitica del Mediterraneo. Uno scenario catastrofico per un paese come l’Italia ma che non si fermerebbe certo ai confini dell’Europa renana. Per chiunque ragioni sugli interessi a lungo termine del Vecchio Continente, fermare il crollo della Borsa e gestire il crollo del regime di Gheddafi sono solo apparentemente compiti contrastanti e lontani. La sicurezza degli europei dipende da entrambi. E dipende da noi: con la fine della guerra di Libia, l’era della tutela americana è giunta al suo termine.

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