'Libia: fine delle operazioni aeree'.

Dopo la guerra, gli affari

Dietro l'intesa annunciata dai partecipanti alla conferenza di Parigi sulla "nuova Libia" si nasconde una guerra sotterranea tra Francia, Italia e Regno Unito per lo sfruttamento delle risorse del paese. Le reazioni della stampa dei tre paesi.

Pubblicato il 1 Settembre 2011 alle 14:15
'Libia: fine delle operazioni aeree'.

A sei mesi dall'inizio della campagnia contro Muammar Gheddafi, Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno invitato a Parigi i rappresentanti di una sessantina di paesi e ong e quelli del Consiglio nazionale di transizione libico, in modo da sancire la fine delle operazioni militari e delineare un progetto per la transizione politica e la ricostruzione della "nuova Libia". Sullo sfondo, la sete di petrolio.

Libération parla di una "prova del fuoco vittoriosa in Libia, che rimette in sella la Francia e in sintonia con il nuovo mondo arabo". Secondo il quotidiano quella in Libia è stata "una guerra lampo diplomatica e un scommessa militare audace". Un successo di cui "le imprese petrolifere francesi potranno largamente approfittare". "Almeno questo è ciò che sta scritto nero su bianco in un documento finito nelle mani di Libération. Il testo è firmato dal Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt). Il fatto che i paesi più impegnati nel conflitto al fianco degli insorti saranno i più favoriti dal Cnt, in particolare per quanto riguarda i ricchi (e ancora incerti) contratti petroliferi, è di pubblico dominio. Tuttavia il documento mostra chiaramente che già da mesi sono stati presi impegni precisi con tanto di cifre".

Secondo il quotidiano il 3 aprile, ovvero appena 17 giorni dopo l'adozione della risoluzione 1973 da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, il Cnt ha inviato una lettera all'emiro del Qatar, che ha giocato un ruolo fondamentale nei rapporti tra i ribelli e la Francia. Nella lettera si precisa che l'accordo sul petrolio stipulato tra Parigi e il Cnt come rappresentante legittimo dello stato libico assegna ai francesi il 35 per cento del totale del petrolio greggio.

Il trionfo diplomatico francese, con il suo corollario energetico, mette in grande agitazione l'Italia. In secondo piano nella coalizione guidata da Parigi e Londra, l'ex potenza coloniale teme di essere tagliata fuori e di non poter partecipare alla spartizione della torta libica. "E l’Italia, che di Libia era il primo partner economico e legato da un trattato di amicizia siglato a costo di una mésalliance?", si domanda La Stampa. "L’Italia che sarà invece in seconda fila oggi a Parigi, con l’Eni che in futuro dovrà contendere a francesi e inglesi i nuovi contratti energetici?". In ogni caso anche Roma, nota il quotidiano di Torino, "corteggia il Cnt per salvare i suoi contratti".

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"La strana guerra di Libia è stata voluta essenzialmente da Parigi e in seconda battuta da Londra. Nicolas Sarkozy cercherà quindi di raccogliere i frutti del suo impegno, guidando la ricostruzione economica. La presenza dell’Italia in Libia ne uscirà fatalmente ridimensionata", sottolinea Marta Dassù nel suo editoriale su La Stampa. La politologa ricorda l'ostilità storica nei confronti degli italiani degli abitanti della Cirenaica, la regione dove è nata la ribellione. La portata delle iniziative diplomatiche di Roma è quindi limitata.

"L'talia aveva molto da perdere dalla strana guerra di Libia. E tuttavia, particolare che sembra sfuggire, non ha perso. La visita di Paolo Scaroni a Bengasi conferma che l'Eni è in grado di salvaguardare i propri accordi energetici". Quanto agli europei, "dopo essersi divisi sulla guerra […] hanno interesse a promuovere insieme un accordo fra i successori di Gheddafi. […] Le illusioni di un condominio francobritannico sono già fallite in passato, nel Mediterraneo. Falliranno una seconda volta se gli europei, in Libia, si contenderanno una 'torta'. L'interesse comune degli europei, e delle genti di Libia, è di non dover rimpiangere Gheddafi. Dopo di che gli affari verranno, per chi sarà in grado di farli. Questa è l'unica competizione ammissibile fra le democrazie del Vecchio Continente".

Nel Regno Unito non ci sono dubbi sulle vere motivazioni della conferenza. Come sottolinea l'Independent "i partecipanti saranno lì per capire quali benefici possono trarne". "Chi otterrà i contratti per lo smaltimento dei rifiuti, il rifornimento d'acqua e lo sfruttamento delle risorse petrolifere di un paese ricco di giacimenti? Per gli occidentali le occasioni di guadagno sono innumerevoli, per questo i libici e gli arabi sono tanto scettici sulle loro intenzioni 'umanitarie'".

Per questo motivo, e per evitare che "una situazione politica precaria degeneri in una faida per l'arricchimento personale", il Financial Times suggerisce la creazione di "un sistema di garanzia credibile nel settore dell'energia" e il raggiungimento di un "ampio accordo costituzionale in grado di permettere ai libici di governarsi autonomamente, come un popolo libero".

Germania

Berlino resta alla finestra

Il successo della campagna di Libia mette in imbarazzo la Germania. Berlino non aveva approvato l'impiego della forza, e mentre si discute della ricostruzione e dei contratti futuri è costretta a rimanere ai margini. Secondo la Süddeutsche Zeitung sul banco degli imputati è finito soprattutto il ministro degli esteri Guido Westerwelle. Dopo il successo militare della Nato il ministro aveva attribuito il merito della caduta del regime di Gheddafi all'embargo internazionale nei confronti di Tripoli, sostenuto dalla Germania, e non all'insurrezione armata. In seguito Westerwelle, spinto dalla cancelliera Angela Merkel, ha fatto marcia indietro. Ciononostante, nota il quotidiano bavarese, il ministro "è stato attaccato da tutti i politici, qualsiasi fosse la loro opinione sull'intervento della Nato in Libia. Dopo la sconfitta di Gheddafi la situazione è radicalmente cambiata: tutti esprimono il loro 'rispetto' per la Nato. Il sollievo per la caduta del colonnello rende più facile sostenere una guerra il cui obiettivo reale non è mai stato la sconfitta del dittatore".

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