Bruxelles, 12 settembre. Una manifestazione filopalestinese davanti alla sede della Commissione europea.

L’Europa inciampa sulla Palestina

Stretti tra le promesse fatte ai palestinesi e il timore di irritare Stati Uniti e Israele, i paesi Ue non hanno ancora una posizione comune sul voto per il seggio dell'Anp all'Onu. E il compromesso proposto non accontenta nessuno.

Pubblicato il 21 Settembre 2011 alle 14:41
Bruxelles, 12 settembre. Una manifestazione filopalestinese davanti alla sede della Commissione europea.

Gli europei sono tutti occupati a risolvere difficoltà dell'ultimo minuto prima del voto dell'Onu sul seggio della Palestina [previsto il 23 settembre]. In primo luogo cercano una posizione comune fra loro; in secondo luogo vogliono evitare problemi con gli Stati Uniti in caso finissero per votare diversamente; in terzo luogo cercano di evitare l'imbarazzo nei confronti dei palestinesi in caso venissero meno alla loro promessa di sostenere l'indipendenza dello stato palestinese "al momento opportuno".

L'Europa ha voluto rimanere su una linea mediana. I suoi responsabili si sono messi d'accordo su una posizione di compromesso che Catherine Ashton ha cercato di vendere alla triade americano-israelo-palestinese e finisce per danneggiare i palestinesi. L'obiettivo è privilegiare un voto all'Assemblea generale e a rinunciare a quello del Consiglio di sicurezza per non mettere in imbarazzo i suoi membri.

Allo stesso modo è stata sostenuta la proposta di Nicolas Sarkozy di uno status simile a quello del Vaticano ma con alcune competenze in più, come l'adesione all'Unesco. In cambio i palestinesi avrebbero ottenuto dagli americani la promessa di non votare contro in Assemblea generale e quella dei 23 paesi europei di votare a favore, cosa che avrebbe dato allo status di osservatore dei palestinesi un maggior peso politico.

A loro volta i palestinesi avrebbero dovuto rispettare due impegni: il ritorno al tavolo dei negoziati sulla base del progetto di Barack Obama, basato sulle frontiere del 1967 e con la possibilità di scambio di territori [la maggioranza delle colonie ebraiche in Cisgiordania farebbero parte di Israele], e la promessa di non fare ricorso alla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia contro Israele.

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Il primo punto non ha nulla di nuovo. Lo stesso presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen aveva dichiarato che dopo il voto dell'Onu il prossimo passo sarebbe stato l'avvio di negoziati. Nuova è invece l'idea di privare i palestinesi del diritto di ricorrere alla Cpi. Questo significherebbe privare il seggio palestinese dell'unica possibilità di riequilibrare i rapporti di forza nei negoziati. Se infatti i palestinesi potranno fare ricorso a questo tribunale a proposito dell'occupazione, della colonizzazione, degli omicidi mirati e della punizione collettiva rappresentata per esempio dall'assedio di Gaza, questo metterebbe in difficoltà Israele e farebbe avanzare i negoziati.

Il compromesso europeo si offre in alternativa agli americani per proteggere gli interessi di Tel Aviv. L'Ue si è sempre mostrata generosa con i palestinesi e spesso ha fatto loro delle belle promesse; oggi la sua speranza è di veder contraccambiata questa generosità con un'ipoteca sulle future generazioni palestinesi. La proposta che invece facciamo noi ai palestinesi è quella di rispedire al mittente il compromesso elaborato dagli europei con la scritta: "No grazie". (traduzione di Andrea De Ritis)

Da Israele

Gli ultimi paladini di Tel Aviv

"Il mondo intero è contro di noi, dal Medio Oriente all'America, dall'Africa all'Asia", scrive Ha’aretz. "Nessuno l'avrebbe mai creduto, ma ci resta soltanto l'Europa. [Il vecchio continente] è diventato un attore fondamentale". Secondo il quotidiano di Tel Aviv gli ambasciatori dei cinque paesi Ue membri del Consiglio di sicurezza - Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Italia - "sono stati convocati la settimana scorsa dal ministro degli esteri", che ha chiesto loro di non votare in favore del riconoscimento dello stato palestinese. Tuttavia i rappresentanti dei cinque stati devono considerare che l'opinione pubblica dei loro paesi è favorevole alla causa palestinese, devono proteggere le relazioni con gli Stati Uniti e non possono ignorare il desiderio di uscire dall'impasse del processo di pace.

Dal punto di vista di Israele "l'Europa è stata nominata 'continente della moralità', e deve agire di conseguenza", nota Ha’aretz. "Approvando il trattato di Lisbona, carta costituzionale dell'Ue, l'Europa ha voluto dimostrare di avere un ruolo chiave nel mondo. La paralisi di Obama lascia al vecchio continente il centro della scena alle Nazioni unite. Siamo arrivati all'ora della verità. Israele chiede un gesto di moralità? Anche i palestinesi lo pretendono".

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