I rischi dell’embargo

Pubblicato il 26 Gennaio 2012 alle 15:52

L’embargo petrolifero adottato dall’Unione europea contro l’Iran è stato giustamente definito una scommessa ad alto rischio. Il pericolo più immediato non dipende tanto dall'ipotetico blocco dello stretto di Hormuz - che secondo l'Fmi provocherebbe un aumento del prezzo del petrolio del 20-30% - ma dalla capacità dell’Europa di rimpiazzare il greggio iraniano.

A rendere più pressante la questione, come ricordava La Vanguardia, è il fatto che “sono proprio i paesi maggiormente colpiti dalla crisi a dipendere più di altri dall’Iran”: Grecia, Spagna e Italia. Prima di firmare le sanzioni, Atene ha preteso la garanzia di non restare a secco. Nel caso dell’Italia la situazione è ancora più complessa: oltre che dall’Iran, fino a poco tempo fa il nostro approvvigionamento dipendeva pesantemente da Siria e Libia. Il fatto che in piena emergenza politica Monti abbia dovuto trovare il tempo di recarsi a Tripoli non è un caso.

Per colmare il buco da 1,2 milioni di barili al giorno creato dall’embargo l’Ue si è rivolta ai fedeli alleati del Consiglio di cooperazione del Golfo. La loro capacità produttiva inutilizzata è stimata attorno ai 2,5 milioni di barili al giorno: l’aumento della domanda europea la dimezzerebbe, e con essa la capacità del sistema di reagire a uno shock petrolifero innescato da un’altra crisi. In quel caso il colpo per le economie mediterranee sarebbe durissimo, e si trasmetterebbe immediatamente all’intera eurozona.

Ma c’è un altro giocatore in questa delicatissima partita: la Cina. Pechino è il maggior importatore di petrolio iraniano ed è stata appena catapultata in una situazione di potenziale vantaggio ed enorme responsabilità: può aderire all’embargo, decretando di fatto la sconfitta dell’Iran, oppure approfittare dell’ambigua posizione che ha tenuto finora. Le compagnie cinesi stanno già sfruttando la situazione per negoziare forti sconti con i fornitori iraniani, aumentando lo svantaggio competitivo dell’Europa nella produzione industriale.

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Secondo alcuni analisti l’interesse a lungo termine della Cina è parallelo a quello dell’occidente, ovvero la “normalizzazione” dell’Iran. Ma in questo momento le carte più alte sono tutte nelle sue mani. E l’Europa, a causa della sua dipendenza energetica e della sua incapacità a elaborare una strategia geopolitica indipendente da quella statunitense, è ancora una volta sulle spine.

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