La storia si ripete

Pubblicato il 6 Luglio 2012 alle 16:03

Sull’onda delle conclusioni raggiunte durante il Consiglio europeo della settimana scorsa dai leader dell’Unione alla ricerca di una soluzione condivisa alla crisi, sulla stampa dei diversi paesi si è scatenato un dibattito sulla sopravvivenza della moneta unica e dell’intero progetto comunitario. C’è chi parla della possibilità di tornare agli stati nazione, chi della necessità di manipolare il Dna dell’Europa e chi avanza proposte per realizzare un’unione politica che scongiuri il fallimento.

Meno di tre giorni prima del vertice europeo, Angela Merkel aveva ribadito la sua opposizione agli eurobond. “Mai finché sarò in vita”, aveva annunciato la cancelliera tedesca, spazzando via qualsiasi ipotesi di una condivisione del debito tra gli stati dell’eurozona. La Germania è preoccupata di dover pagare il conto dei paesi più in difficoltà, come Grecia e Spagna. Come sempre la storia si ripete: non è la prima volta infatti che l’integrazione delle politiche economiche e finanziarie si scontra con le resistenze di chi si trova in una posizione di superiorità.

Centocinquanta anni fa, quando su iniziativa del Piemonte e sotto la tutela di Francia e Inghilterra nacque il Regno d’Italia, i sette stati che lo composero si trovarono ad affrontare simili problemi di unificazione del debito. A metterlo in luce è stata la storica della finanza dell’Université Libre de Bruxelles, Stéphanie Collet, che negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa ha scovato l’unico precedente storico assimilabile agli eurobond. Un esempio importante di come “potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all’unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro”, scrive il Sole 24 Ore.

Dal punto di vista economico, il Regno di Napoli, con la sua struttura industriale, la sua agricoltura fiorente e i suoi porti commerciali, era per l’Italia quello che la Germania è oggi per l’eurozona. Infatti dopo l’unificazione del 1861, il Regno di Napoli vide aumentare i propri tassi dal 4,3 al 6,9 per cento. Ma dieci anni dopo le emissioni cominciarono a ripiegare e i mercati a riprendere fiducia. E, cosa ancora più importante, nel lungo termine l'integrazione dei debiti sovrani fu uno strumento per favorire l'integrazione politica. L’analisi di Collet porta il giornale economico a concludere che

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Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l’euro? Per l’Italia ci volle all’incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un’annessione anche militare e quella europea è un’integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell’800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un’Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla.

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