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Saamiya e le colpe dell’Europa

Pubblicato il 21 Agosto 2012 alle 15:46

La sua storia ha fatto il giro del mondo. Perché è una di quelle da fare gelare il sangue. Una favola con il finale da incubo. L’ha raccontata per prima la scrittrice italo-somala Igiaba Scego sul giornale online Pubblico. Ed è una storia non diversa da molte altre che hanno riempito le pagine dei giornali europei e di tutto il mondo negli ultimi anni: una giovane donna somala che si imbarca sulle coste dell’Africa settentrionale nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e di sbarcare in Europa in cerca di un futuro migliore. E non ce la fa. Uno dei circa 1.700 volti senza nome delle persone che, secondo i dati dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) dal 2011 hanno perso la vita in mare tentando di raggiungere l’Europa.

Solo che il nome di Saamiya Yusuf Omar era comparso in mondovisione nel 2008 quando, allora diciasettenne, aveva rappresentato il suo paese, la Somalia, alle Olimpiadi di Pechino, correndo i 200 metri. Nel video che circola su Youtube si vede una ragazzina sottile, da subito distaccata da tutte le altre atlete, che arriva ultima al traguardo, tra gli applausi del pubblico. La notizia della sua morte è stata data durante una conferenza del comitato olimpico nazionale dall’ex atleta somalo Abdi Bile, l’unico ad aver riportato nel paese martoriato da oltre vent’anni di guerra civile una medaglia d’oro, vinta nei 1500 metri ai mondiali di Roma del 1987.

Come dimostrano i molti articoli scritti su di lei, la storia di Saamiya ha avuto un impatto particolare sull’opinione pubblica europea. Sia perché nella scia dell’ebrezza lasciata dai giochi di Londra appena conclusi, l’annuncio della sua morte suona come una nota stonata, una brutta notizia che rovina la festa. Sia perché solleva un velo che avvolge le vite dei migranti nell’anonimato, permettendo a noi di accettare con passività e rassegnazione il moltiplicarsi delle immagini di gommoni alla deriva, morti strazianti, respingimenti. Per una volta non possiamo ignorare che si tratta di persone con una vita precedente, sogni, passioni, volontà, comuni a tutti noi. Saamiya ci sbatte in faccia una realtà che, grazie anche a un’informazione che appiattisce tutte le notizie sugli sbarchi e le morti in mare, eravamo riusciti a normalizzare e rendere innocua.

Nel suo rapporto ‘Hidden Emergency’, (Emergenza nascosta), Human Rights Watch ricorda che in Europa manca un’azione coordinata per evitare le “inutili morti nel Mediterraneo”:

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Le operazioni di soccorso nel Mediterraneo sono ostacolate dalla scarsa coordinazione, dalle dispute sulla responsabilità, dai disincentivi a condurre salvataggi per le navi commerciali e dall’enfasi sul rafforzamento delle frontiere.

Human Rights Watch esorta l’Europa ad fare in modo che “la prevenzione delle morti nel mare diventi il cuore di un approccio coordinato” alla migrazione e non uno strumento per mettere in atto “politiche volte a evitare gli sbarchi o altre manovre da parte degli stati del nord per scaricare il problema sugli stati del sud come Italia e Malta”.

Il Parlamento europeo e il Consiglio europeo stanno discutendo la proposta di creare Eurosur, un sistema di sorveglianza che dovrebbe fare ricorso alla tecnologia, compresi droni e immagini satellitari, per monitorare il Mediterraneo e le coste dell’Africa del nord. Secondo Hrw, tuttavia, il progetto è inadeguato perché non “fissa le procedure, le linee guida né i sistemi per garantire che il soccorso in mare sia realizzato in modo efficace”. A parte l’obiettivo dichiarato di salvare le vite dei migranti, infatti, il nuovo sistema “riflette la tradizionale propensione a proteggere le frontiere e a scongiurare gli arrivi”, nota l’organizzazione per la difesa dei diritti umani. Se vuole veramente salvare le vite dei migranti in mare, l’Europa deve mettere in atto un sistema di sorveglianza che abbia come primo e chiaro obiettivo la tutela della vita delle persone e che sia soggetto a un monitoraggio rigoroso e imparziale.

È facile dare la colpa della tragedia dei migranti nel Mediterraneo ai trafficanti senza scrupoli, al maltempo o al destino crudele. Invece, molte morti possono e devono essere evitate. Ce lo ricorda Human Rights Watch. Ma soprattutto ce lo ricorda Saamiya Yusuf Omar.

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