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La democrazia si restringe

Pubblicato il 13 Settembre 2012 alle 13:04

Di fronte alla paralisi dei politici nazionali, altre strutture - Banca centrale europea, Corte costituzionale tedesca, Corte di giustizia europea - hanno preso la guida degli affari europei. Un strappo alla democrazia da ricucire subito.

Forse il modo migliore per descrivere il paradosso attuale della democrazia europea è dire che la sua sorte è stata in questi giorni affidata alle decisioni del consiglio della Banca centrale europea (Bce) e della Corte costituzionale tedesca. Nel momento in cui i dirigenti politici europei, ormai convinti della loro impotenza, se non della loro illegittimità, a vincere la "battaglia della credibilità" degli stati nei confronti dei mercati, hanno acconsentito a privarsi dei loro margini di manovra in favore di organi indipendenti e di procedure di sanzioni automatiche (il famoso trattato di stabilità), i giudici (nazionali ed europei) e i banchieri centrali hanno finito per assumere un ruolo centrale nella gestione quotidiana degli affari europei.

Attraverso una forma di inversione simbolica, sono ormai i cosiddetti "indipendenti" ad animare il dibattito sul futuro dell'Unione politica e a svolgere funzioni che vanno ben oltre la sola legittimità funzionale che attiene al loro mandato iniziale. Così i dirigenti della Bce sono passati rapidamente dalla difesa della "stabilità dei prezzi" alla rivendicazione di "riforme strutturali" (mercato del lavoro, moderazione salariale e così via) e di recente partecipano attivamente alle discussioni sull'architettura della futura unione politica.

Una partecipazione che ormai si estende anche alla scrittura dei futuri trattati, come nel caso della missione assegnata al gruppo dei cosiddetti "quattro saggi" (presidenti rispettivamente del Consiglio europeo, della Commissione, dell'Eurogruppo e della Bce). Per colmo d'ironia, questi "indipendenti" non esitano a ricordare agli stati i loro obblighi democratici: in diverse occasioni il presidente della Bundebank Jens Weidmann e quello della Bce Mario Draghi hanno ripetuto la necessità di aumentare la "responsabilità democratica" nei nuovi dispositivi istituzionali; in più di un'occasione la Corte costituzionale tedesca ha assunto il ruolo di ultimo baluardo in difesa del parlamento nazionale e così via.

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Insomma tutto sembra sottolineare, malgrado i venti anni di rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, la grande precarietà della legittimità democratica nell'Unione e la forza delle istituzioni apolitiche, tribunali, banche centrali, agenzie o autorità e così via. La catena del processo di delega dai poteri democraticamente eletti alle istituzioni indipendenti ha continuato ad allungarsi.

Di conseguenza è difficile credere nell'assicurazione di José Manuel Barroso, che ancora a giugno in occasione del vertice del G20 riteneva che l'Europa non deve ricevere lezioni di democrazia dai paesi emergenti. Chiunque voglia "riorientare il corso della costruzione europea" farebbe quindi meglio a partire dalla constatazione più realistica di una democrazia europea che va sempre più riducendosi. Da questo punto di vista la sola introduzione dell'elezione diretta del presidente della Commissione - il nuovo obiettivo della diplomazia tedesca - non può bastare a dare un nuovo slancio democratico all'insieme politico europeo. Al contrario potrebbe addirittura rivelarsi una nuova chimera europea se dovesse accompagnarsi - come vorrebbero i conservatori tedeschi - alla concessione di nuovi poteri alla Banca centrale e alla Corte di giustizia.

La revisione dell'Unione politica dovrà necessariamente cercare di inventare nuove forme di legami democratici con queste istituzioni "indipendenti". Non si tratta più di modificare la loro sfera di competenza, ma piuttosto di ripensare i due pilastri sui quali si è finora basata la loro autorità: una certa idea della loro indipendenza, concepita come indipendente da interessi di parte, e una pretesa obiettività scientifica delle loro diagnosi e verdetti. Per quanto riguarda il primo punto l'introduzione di una forma di rappresentanza dei partner sociali e delle minoranze politiche permetterebbe di assicurare un'autentica "indipendenza", evitando che questi nuovi spazi della politica europea finiscono nelle mani di un gruppo, uno schieramento o un'ideologia.

Solo questo pluralismo -ed è il secondo punto - sarà in grado di far discutere su quelle controversie tecniche e politiche che allargheranno il perimetro del dibattito al di là della cerchia degli economisti e dei giuristi. I governi, attraverso il controllo delle nomine dei membri di queste istituzioni, hanno ancora gli strumenti per aprire queste scatole nere. Solo a questa condizione gli organismi democratici europei - Parlamento europeo in testa - non diventeranno istituzioni prive di contenuti.

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