Il vero peccato di Orbán

Pubblicato il 7 Gennaio 2011 alle 17:01

La legge sui media varata dal governo ungherese non è esattamente un modello di riferimento in termini di libertà di espressione, ed è ben comprensibile che la stampa nazionale non sia entusiasta delle salatissime ammende che essa introduce.

Più sorprendente è l'indignazione suscitata nel resto d'Europa: da una settimana governi, istituzioni e mezzi di comunicazione riversano sul povero Viktor Orbán una tale varietà di accuse e paragoni poco edificanti che fa impallidire il trattamento usualmente riservato al nostro premier. L'Economist, per esempio, ha lanciato un appello a trasformare il semestre ungherese di presidenza Ue in una graticola permanente su cui grigliare il governo di Budapest finché non sarà tornato "alla ragione".

Eppure, come lo stesso Orbán ha giustamente fatto notare, gran parte dei suoi critici farebbe meglio a guardare in casa propria: sarebbe per esempio il caso di ricordare all'Economist, al Financial Times e compagnia la libel law britannica che permette ai querelanti nazionali ed esteri di mettere in mutande i giornali che si lasciano sfuggire qualche parola di troppo. In questi casi l'indignazione, se mai c'è stata, non è andata al di là di qualche effimera tirata retorica.

Quali sono i motivi dell'anomalia ungherese? Uno spunto lo fornisce lo stesso Economist: "Nell'ambito della sua politica economica 'patriottica', il governo ha respinto le direttive dell’Fmi [...]. Gli investitori stranieri sono stati messi in allarme dalle nuove tasse straordinarie 'per la crisi'". Nel cesto dei peccati di Orbán viene regolarmente gettato anche il "nazionalismo economico", espressione che vira in chiave spregiativa il tentativo (a quanto pare riuscito) del governo ungherese di sfuggire all'amarissima e inefficace medicina imposta dalla finanza internazionale alla crisi economica – innescata dalla finanza internazionale – e adottare soluzioni più razionali – come tassare, invece dei cittadini, le imprese europee che dalla caduta del comunismo realizzano enormi profitti sfruttando il deficit di retribuzione, diritti e tutela nei paesi dell'ex blocco sovietico.

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Tra i condivisibilissimi ideali di libertà e democrazia, l'attacco alla legge sui media ha anche questo vantaggio: è un modo estremamente politically correct per fare pressione su Budapest e "riportarla alla ragione" anche e soprattutto in questo campo. Per un governo screditato è molto più difficile sottrarsi all'ortodossia finanziaria e nuotare controcorrente. Meglio fare come Brian Cowen, che galleggia da mesi nel flusso di austerity che sta portando l'Irlanda nel baratro, senza sollevare neanche uno schizzetto di controversia.

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