Voxeurop community Libertà di espressione

In libertà vigilata

Pubblicato il 21 Settembre 2015 alle 14:02

Gli attacchi contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo del 7 gennaio scorso e quello contro un centro culturale danese del 14 febbraio hanno rimesso la libertà di espressione al centro delle discussioni. E, in diversi paesi, sono stati l’occasione per una riflessione sui suoi eventuali limiti e sul tipo di società nella quale gli europei vogliono vivere.

Le manifestazioni di solidarietà che seguirono l’attentato di Parigi, con centinaia di migliaia di persone scese in piazza l’11 gennaio per gridare “je suis Charlie”, rifiutare la violenza e sostenere l’importanza del dialogo, sono sembrate voler riaffermare l’attaccamento degli europei alla libertà di espressione. Ma il movimento venne anche costellato da distinguo caratteristici della nostra epoca, segnata dal terrorismo islamico, dalle tensioni sociali legate alla mancata integrazione delle popolazioni di origine immigrata e dall’eredità dell’11 settembre: la sensazione che, la libertà di espressione fosse sì importante, ma che, forse, l’integrità fisica lo era di più, che quelli di “Charlie” un po’ “se l’erano cercata” e che non si scherza con la religione. Un atteggiamento sintetizzato nella formula “Je ne suis pas Charlie” che faceva eco al popolare “Je suis Charlie” di chi esprimeva piena solidarietà per le vittime.

Come ricordano gli autori dell’opera collettiva Libertà di espressione in Europa (a cura di Dino Aloi e Thierry Vissol, Il Pennino editore, 2015), mai come oggi la libertà di espressione è tutelata in Europa – attraverso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le sentenze della Corte di giustizia europea e quelle della Corte europea dei diritti umani – eppure, probabilmente mai come oggi essa, a cominciare dalla satira, è rimessa in questione, in particolare da gruppi etnici o religiosi e dai loro più accesi militanti. In nome di una visione dogmatica e di un’interpretazione fondamentalista dei testi sacri vogliono impedire qualsiasi forma di critica nei confronti delle loro credenze. Un atteggiamento che sfocia, nel caso del terrorismo islamico, nell’azione violenta contro i presunti “miscredenti” e “blasfemi”.

Si è così passato dall’assenza di qualsivoglia limite al politicamente corretto – che, pur con qualche ridicolo eccesso, ha cambiato il modo di riferirsi a minoranze e disabilità – a una forma di censura e di autocensura, in particolare nei mezzi d’informazione (mentre paradossalmente i politici, specie i populisti, sembrano non avere più argini), che rende a volte difficile una discussione pubblica serena – figurarsi la satira – intorno ai temi di società.

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Il libro punta non a capire le ragioni dietro a questo fenomeno, ma piuttosto a fare un punto della situazione e a ricordare come la tutela della libertà di espressione e di due suoi corollari, la libertà di informazione e quella di satira, sia fondamentale in una società aperta, matura e adulta.

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