Dicono che ci vogliano vent'anni per fare una generazione. Probabilmente è lo stesso lasso di tempo che ci è voluto per assorbire il crollo dell'ex Jugoslavia. Con l’arresto di Ratko Mladić, l'ultimo dei grandi ricercati dal tribunale penale internazionale dell'Aia, c'è l'occasione di fare giustizia per Srebrenica, teatro dei più efferati crimini nella guerra fratricida che ha devastato la Croazia e la Bosnia tra il 1991 e il 1995 (e il Kosovo nel 1999). A questo punto si può finalmente voltare pagina e la Serbia può sperare in un'adesione all'Unione europea in tempi brevi.
Che sia una coincidenza o meno, la cattura di Mladić è avvenuta nella stessa settimana in cui la Croazia ha appreso che i negoziati per l'adesione potrebbero non concludersi prima della scadenza prevista, a fine giugno. "Il nuovo allargamento dell'Ue è una decisione strategica che ha innescato un ulteriore braccio di ferro geopolitico tra i paesi occidentali", sottolineava in settimana il quotidiano croato Novi List. "Come all'inizio degli anni novanta, da un lato ci sono i paesi guidati dalla Germania e l'Austria, cui si sono uniti gli stati del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia), che sostengono la sua adesione all'Ue in tempi brevi. Dall'altro lato la Gran Bretagna e i suoi alleati continentali (Paesi Bassi, Danimarca e paesi scandinavi), che vogliono chiudere i negoziati soltanto a fine anno, quando anche la Serbia potrebbe rispettare le condizioni per la candidatura a un ingresso nell'Unione". Si tratta di uno scenario divenuto credibile con la cattura di Mladić, e tuttavia i ventisette dovranno agire con cautela e raziocinio, perché i Balcani rappresentano ancora un focolaio di possibili crisi.
A Belgrado è ancora troppo presto per misurare le conseguenze politiche dell'arresto di Mladić, ma a Zagabria la recente condanna del generale Gotovina da parte del tribunale dell'Aia ha rinforzato i sentimenti ostili all'Ue. Inoltre in entrambi i paesi la corruzione e il nazionalismo esasperato minacciano tuttora le prospettive di un ingresso senza scontri.
In Bosnia-Erzegovina i serbi, un tempo guidati da Mladić, minacciano di indire un referendum per ottenere l'indipendenza, cosa che segnerebbe la fine della pace precaria raggiunta nel 1995. In Kosovo, stato ancora non riconosciuto da cinque membri dell'Ue, prosperano la criminalità e la corruzione, e l'ipotesi di una separazione tra albanesi e serbi pesa tuttora sull'equilibrio della regione.
Alla vigilia dell'arresto di Mladić il commissario europeo all'allargamento Stefan Fülle ha presentato la nuova strategia Ue nei confronti degli stati vicini, basata principalmente sul sostegno al mondo arabo a scapito di paesi come la Bielorussia, l'Ucraina o la Georgia, che in precedenza erano considerati una priorità. Come se l'Ue non riuscisse ad agire con costanza su più di un fronte. I Balcani sono all'incrocio tra queste due prospettive, l'allargamento e il vicinato. La Croazia e ormai anche la Serbia sono gli avamposti. Ma gli sforzi da compiere nei confronti di questi due paesi non devono mascherare la posta in palio nell'intera regione. L'arresto di Mladić non è che una tappa di un percorso rischioso. (traduzione di Andrea Sparacino)