Vertici dell’UE

È questa la “dream team”?

Pubblicato il 1 Settembre 2014 alle 07:16

“Dopo il trio Barroso-Van Rompuy-Ashton, largo al trio Juncker-Tusk-Mogherini”, scrive il corrispondente di Libération Jean Quatremer sul suo blog all’indomani della nomina, il 30 agosto, del premier polacco Donald Tusk (57 anni) come presidente del Consiglio europeo e della ministra degli Esteri italiana Federica Mogherini (41 anni) a “ministro degli Affari esteri dell’Unione”.
Per Quatremer,

non si sa ancora se si tratta di una “dream team”, ma nessuno ha dubbi sul fatto che questa squadra rinnovata dovrà darsi parecchio da fare per far peggio della squadra uscente. La scelta di Tusk et de Mogherini non andava da sé nell’attuale contesto eurodepresse: entrambi militano infatti per un’Unione forte, in particolare nel settore della difesa. Ma l’elezione di Tusk pone alcune domande: non viene da un paese della zone euro e dovrà presiedere dei consigli europei dell’eurozona. Inoltre, questo ammiratore di Reagan e della Thatcher non è particolarmente progressista sul piano della società: è opposto all’aborto, al matrimonio omosessuale e all’eutanasia. Infine, parla male inglese e per niente francese, due lingue di lavoro dell’Unione, anche se parla correntemente inglese e russo. Dei rimproveri che non possono farsi a Mogherini, che soffre solo della relativa carenza di esperienza negli affari esteri.

La nomina di Tusk e Mogherini, osserva Quatremer, “porta in modo incontrovertibile l’impronta di Berlino”: Angela Merkel “era favorevole al polacco, alleato a est della Germania”. La cancelliera tedesca era anche favorevole a Mogherini, “

dopo aver ottenuto assicurazioni sul fatto che una tedesca sarebbe successa al francese Pierre Vimont a capo del Servizio di azione esterna, il braccio armato del ministero degli Esteri dell’Unione.

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Ed è questa “senz’altro la grande lezione della sequenza appena conclusa”, conclude Quatremer: la Germania domina l’Unione con la testa e con le spalle”, come dimostrano la nomina di Jean-Claude Juncker, il candidato scelto da Merkel, come candidato del Ppe — poi eletto — alla presidenza della Commissione, il fatto che il capo di gabinetto di Juncker sia tedesco, così come Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, diventata ormai “di fatto la terza camera del Parlamento tedesco”. Insomma, la Germania “nomina gli uomini e le donne ai posti chiave dell’Unione, impone il ritmo del suo approfondimento, ne detta le politiche”.
Ma, chiede Quatremer, “per quanto tempo i paesi europei potranno accettare di essere sottoposti allo strapotere della Germania?”

La nomina di Mogherini “è un successo per l’Italia e un riconoscimento per Matteo Renzi, presidente di turno e leader in cerca di affermazioni”, afferma per parte sua l’editorialista della Stampa Cesare Martinetti. Mogherini dovrà però affrontare lo “scetticismo diffuso” in Europa, aggiunge Martinetti, delle “perplessità espresse nei giorni scorsi da Financial Times e Le Monde – solo per citare gli ultimi – delusi per il profilo personale del nuovo Alto Commissario: poco conosciuta, con una modesta esperienza internazionale”.
In effetti, prosegue,

l’italiana dovrà diventare quella che non è stata finora come ministro degli Esteri: autorevole, carismatica, riconoscibile e riconosciuta in quanto tale dai Baltici al Portogallo, dalla Finlandia a Cipro. E per fare questo non c’è bisogno di una politica di sintesi o compromesso, di deplorazioni e di auspici in cui tutti si riconoscano, ma che non produce niente. C’è bisogno di una politica estera che rappresenti l’Europa e ne faccia gli interessi, in tutte le aree del mondo. Un’operazione che non è riuscita all’inglese lady Catherine Ashton, il commissario uscente, e nemmeno allo spagnolo Javier Solana.

Secondo Martinetti, il premier italiano Matteo Renzi è stato “abile e perseverante” nel pretendere la poltrona di Alto commissario per l’Italia, ma il prestigio così ottenuto non serve a niente se si tratta di “un gioco fine a se stesso” :

Le nomine del polacco Donald Tusk a presidente e di Federica Mogherini ad Alto commissario per la politica estera, rispondono ad una logica di equilibrio tra aree, politiche e geografiche secondo il tradizionale Cencelli brusselese. Ed è logico che sia così. Non c’è da scandalizzarsene. Il vero problema è cosa vuol essere l’Unione Europea: una somma di Stati che si compensano l’un l’altro o un soggetto unitario e solidale? E qui, purtroppo, non si vedono progressi dal solito trantran intergovernativo che domina la politica europea da un po’ di anni e che esprime scelte di uomini e donne dal profilo basso che non oscurino le scelte e le iniziative dei governi. Il grande soffio dell’Unione si è smarrito tra burocrazie e contabilità.
Per fare il salto, in politica estera, come scriveva il “Financial Times”, serviva un “pezzo da novanta”. Saprà Federica Mogherini essere “quel numero di telefono” che Henry Kissinger diceva ironicamente di non aver mai trovato quando aveva bisogno di parlare con un soggetto astratto chiamato Europa?

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