"Cosa resterà dell'eurozona tra un anno? La domanda può sembrare brutale e inopportuna", scrive Jean-Marc Vittori su Les Echos, "ma è ormai inevitabile dopo i terribili eventi a catena delle ultime settimane". Secondo l'editorialista francese, infatti,
all'interno della Banca centrale europea (Bce), dove si decide la politica monetaria, il disaccordo è diventato palese fino ai piani più alti. Certo, nei tempi difficili in cui viviamo la politica monetaria è un'arte pericolosa. Stampando denaro per comprare in massa titoli di stato, le banche centrali vanno contro alcuni dei principi che giustificano la loro indipendenza. Il denaro appena creato rischia di alimentare in futuro l'inflazione. In queste condizioni non sorprende che sia sempre più difficile ottenere un consenso comune, all'interno della Fed americana o della Bce. Tuttavia fino a questo momento i dissidi erano sotterranei. Rassegnando le dimissioni dal direttorio della Bce, Jürgen Stark è andato oltre. Il suo gesto rimette in causa la possibilità di definire insieme il futuro della moneta unica (…). I tedeschi hanno almeno due problemi con la politica della Bce: il riacquisto dei titoli di stato e l'istituzione di tassi d'interesse troppo deboli per il loro paese, unico dell'eurozona alle prese con le pressioni dell'inflazione. Per questi problemi esistono due possibili soluzioni. Un'uscita dall'alto, che passi per la creazione di uno stato federale europeo, e una dal basso, che prevederebbe il crollo dell'eurozona. Considerata l'ampiezza dei problemi da risolvere, conviene decidere al più presto. – Les Echos
De Volkskrant è scettico rispetto alla capacità della Grecia di rimborsare il debito. "La vendita delle aziende pubbliche non serve a niente", sostiene il quotidiano di Amsterdam, secondo il quale "nonostante Atene avesse promesso di privatizzare il patrimonio pubblico per 5 miliardi di euro entro la fine dell'anno, finora non ha incassato praticamente niente". Tre mesi dopo che il parlamento greco si è impegnato con la troika (Bce, Fmi, Commissione europea) a privatizzare le proprietà dello stato per 1,3 miliardi di euro entro la fine di settembre,
il governo greco ha portato avanti soltanto una piccola parte delle riforme promesse. È stata venduta solo una quota di partecipazione minoritaria in una compagnia telefonica, per 390 milioni di euro (…). Ci sono stati diversi tentativi di vendere la lotteria nazionale, ma ogni volta sono sembrati più che altro una sceneggiata politica, e puntualmente qualcuno ha tirato fuori una scusa per giustificare la mancata finalizzazione della vendita. – De Volkskrant
In Spagna c'è forte timore per le ripercussioni della crisi greca: "Il rischio di un fallimento della Grecia nel mese di ottobre minaccia la Spagna", titola El Mundo. Lo spread dei titoli spagnoli ha raggiunto la soglia d'allerta di 370 punti "nonostante l'acquisto massiccio di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (Bce)". Secondo il quotidiano "la crisi greca ci obbliga a trovare un accordo economico entro il 20 novembre", data delle elezioni anticipate.
Questa situazione di vulnerabilità estrema dovrebbe costringere [il primo ministro José Luis] Zapatero a impegnarsi a fondo per portare a termine le riforme necessarie, e invece il capo del governo ci ha cacciati in un labirinto. Zapatero ha condannato il paese all'impasse convocando le elezioni con quattro mesi di anticipo. Il governo stesso è stato costretto a rinunciare ad alcune riforme-chiave in economia, e proprio per questo motivo è stato obbligato dall'Europa ad adottare la riforma costituzionale [per introdurre la regola sull'equilibrio di bilancio]. Ormai l'unica soluzione è fare in modo che Zapatero riprenda in mano le redini della situazione, che si riunisca al più presto con [il leader dell'opposizione di destra Mariano] Rajoy e [il candidato socialista Pérez] Rubalcaba, e che tutti e tre diano un'accelerata alle riforme strutturali come la modifica al negoziato collettivo o una riforma del mercato del lavoro più efficace, di cui l'encomia spagnola ha bisogno per gli anni a venire. – El Mundo
Tra i paesi che non fanno parte dell'eurozona serpeggia una forte inquietudine, unita alla volontà di non essere tagliati fuori dal processo decisionale sul futuro della moneta unica. "La Polonia vuole decidere il destino dell'euro", titola Dziennik Gazeta Prawna a proposito della riunione dei rappresentanti dei governi di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria e Romania svoltasi a Bruxelles per trovare una "posizione comune sul rafforzamento della cooperazione con l'eurozona". Il tutto in vista dei negoziati "per la modifica del trattato di Lisbona e della trasformazione dell'unione monetaria in un'unione fiscale", che dovrebbero iniziare dopo i consigli europei di ottobre e dicembre.
La Polonia guiderà una coalizione di paesi che vogliono entrare nell'euro, e rivendica il diritto a partecipare alle discussioni sull'unione monetaria. Varsavia non vuole che le decisioni sul suo futuro vengano prese unicamente a Berlino e Parigi. – Dziennik Gazeta Prawna